Il bellissimo film di Emanuele Crialese, che è stato presentato, quest'anno appunto, alla Mostra del Cinema di Venezia insieme con quelli non meno validi di Olmi e di Paterno, merita tutta la nostra attenzione.
E quindi, in breve, d'essere visto.
Perchè?
Perché la chiave di lettura del film di Crialese è diversa.
Non c'è la solita trita quanto sterile polemica contro un Paese,l'Italia, che con la sua classe politica ultimamente ha perso di vista, nei fatti, e da un pezzo anche, il valore della solidarietà.
C'è invece molto di più.
C'è la conferma che la gente comune sovente non s'identifica con i propri governanti ed è capace di surclassarli in termini di accoglienza e di aiuto. E volendo anche con il compiere atti che la legge può bollare come gesti di disobbedienza.
E, magari, anche senza fare troppi distinguo, a livello giuridico, su ciò che può essere fatto e ciò che non può.
Incosciamente.
Perché "umano".
La storia di "Terraferma" è semplice.
In un'isola del nostro Mediterraneo, non importa quale(la ricerca di approdi per chi fugge dalla fame, dalla guerra, dal tiranno può essere ovunque), arrivano naufraghi degli immigrati.
E con essi c'è una donna incinta.
L'accoglienza alla donna viene fatta dalla famiglia di un anziano pescatore locale, che molto presto smetterà ,a causa degli anni, di andare per mare.
A farlo, a continuare cioé il mestiere di pescatore, dovrebbe essere il nipote, che ha vent'anni ma che, come tutti i giovani, ha ovviamente ben altre aspirazioni.
Tipo fare soldi e, possibilmente, senza una vita rischiosa, che a suo padre è costata la pelle.
Centro del racconto è tuttavia l'amicizia che s'instaura tra la donna venuta dal mare e la madre del giovane e nuora del vecchio pescatore.
L'isolana, vedova da tempo, fin dalle prime battute palesa ch'ella vuole andare via dall'isola, che avverte ormai come un limite e una insopportabile prigione.
Qualcosa però cambia e decisamente in meglio, quasi un miracolo, quando l'africana ,venuta dal mare, partorisce e mette al mondo una splendida creatura.
Ed è qui la chiave di volta.
L'amicizia fra le due donne, che si cementa su solide basi comuni,da donna a donna(noi diremmo), e ancor meglio da donne "capaci di dare la vita" , finisce con il far dimenticare alla vedova quella "voglia" di fuggire, di andare lontano.
E tutte le cose nell'isola, anche le più insignificanti, diventano "cose buone".
S'impara insomma a fronteggiare insieme tutte le emergenze.
Ed è vitalizzante in tempi "grigi" come i nostri.
Perchè nessuno, quale che sia il colore della sua pelle, la sua provenienza o la sua cultura, può sottrarsi alle sfide che l'esistenza pone in quanto uomini e donne nel mondo e per il mondo.
Bravissimi ovviamente tutti gli attori, a partire dal superlativo Giuseppe Fiorello, nel ruolo dello zio ricco, che affascina il nipote, che ne vorrebbe seguire le orme, a Mimmo Cuticchio, il nonno.
Il ruolo di Sara, la "principessa" venuta dal mare con il suo dono, invece il regista lo ha assegnato, e con mano davvero felice, a Timnit, una giovane donna eritrea, realmente sopravvissuta ad un naufragio, proprio a Lampedusa nel 2009, di cui i giornali di quell'anno parlarono a lungo.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)