La più popolosa democrazia del mondo, l’India, ha votato e il risultato, secondo gli exit polls, è un terremoto politico. La destra nazionalista hindu ha stravinto. Secondo l’autorevole quotidiano Times of India, infatti, la coalizione di partiti NDA, guidata dal Bharatya Janata Party (Bjp) capeggiato da Narendra Modi, sta conquistando un numero di seggi compreso fra 249 e 290. La Camera bassa indiana (Lok Sabha) conta 543 seggi e la maggioranza assoluta è dunque di 272 seggi: un risultato a portata di mano per la coalizione nazionalista-hindu capitanata da Modi.
Viceversa la coalizione laica di centro-sinistra (Upa) guidata dal Partito del Congresso presieduto da Sonia Gandhi, che candidava alla premiership il figlio Rahul Gandhi, è destinata a perdere il governo del Paese, essendo accreditata di un numero di seggi compreso fra i 101 e i 148. Infine, gli altri partiti – sia quelli regionali sia quelli di sinistra – conquisterebbero complessivamente fra i 146 e i 156 seggi.
Questo risultato elettorale sembra scrivere la parola “fine” per la dinastia Nehru-Gandhi che – con poche interruzioni – ha governato l’India dall’indipendenza a oggi. Un risultato elettorale avvalorato dal più alto tasso di partecipazione nella storia del Paese: il 66,38%.
La vittoria della destra nazionalista-religiosa è espressione anzitutto di cinque elementi
1) la rabbia popolare contro la corruzione dilagante, che negli ultimi anni di governo del Partito Congresso ha suscitato scandali e diffuse reazioni sociali e politiche; 2) la preoccupazione della piccola e media borghesia dell’India, che dopo anni di tumultuoso boom ha visto rallentare la crescita economica; 3) le pressanti richieste di lavoro della parte più giovane della popolazione, che dopo avere compiuto gli studi pretende una collocazione socio-economica adeguata al proprio livello di istruzione; 4) le istanze nazionalistiche e religiose della maggioranza hindu della popolazione che vuole un’India protagonista della scena mondiale, al pari di Cina e Usa; 5) la fascinazione esercitata sulle masse più povere dal leader della destra Narendra Modi: personaggio carismatico, brillante oratore e premier di uno Stato, il Gujarat, capace di attirare investimenti internazionali producendo sviluppo economico. Di fronte a Modi – che ha origini sociali molto umili - lo scialbo Rahul Gandhi è stato percepito come il figlio viziato dell’alta borghesia urbana, membro di quella “casta” messa oggi sotto accusa per la dilagante corruzione.
Le conseguenze interne all’India
Non sarà difficile a Narendra Modi trovare alleati in qualche partito regionale per conquistare la maggioranza assoluta dei seggi nella Camera indiana (qualora la sua coalizione di partiti, la NDA, non riesca a conquistarla già da sè). Più difficile sarà per Modi dare immediate risposte pratiche alle due grandi istanze popolari: meno corruzione e più sviluppo economico. Il sistema burocratico-politico indiano non è certo “ripulibile” in tempi brevi. Tuttavia Modi piace agli industriali indiani per i risultati economici che ha ottenuto in Gujarat (anche se vi sono Stati come il Tamil Nadu che ne hanno ottenuti di migliori, pur non essendo governati dalla destra) e perciò avrà l’appoggio della “Confindustria” indiana. Molto più preoccupante, invece, la prospettiva per la democrazia e la laicità dell’India: Narendra Modi (detto NaMo dai suoi fans) è un capopolo che ha spesso ignorato e calpestato – o permesso a formazioni estremiste hindu di calpestare – i diritti delle minoranze religiose come i musulmani e i cristiani. E’ stato a lungo accusato di complicità con stragi di musulmani nello Stato da lui governato, il Gujarat. E’ molto lontano dall’idea di laicità dello Stato con cui il Partito del Congresso ha difeso la democrazia indiana. Ora dovrà scegliere se essere il premier degli indiani di religione induista, oppure di tutti gli indiani.
Le conseguenze per l’Italia e il caso dei marò
Le relazioni politiche fra Italia e India sono attualmente al punto più basso degli ultimi 50 anni. Un esempio?L’India, dopo avere garantito la propria partecipazione all’ Expo 2015 di Milano, ha fatto marcia indietro e ha dichiarato che non parteciperà (il che non significa che non verranno in Italia turisti indiani, ormai in aumento, ma che non vi sarà una presenza ufficiale dell’India, con ovvio danno per i rapporti economici con il nostro Paese). Le ragioni di questa situazione sono molte, ma le più recenti sono due: 1) il caso degli elicotteri Agusta-Westland venduti dall’Italia all’India con relative accuse di corruzione a esponenti di Finmeccanica, e conseguenti arrivi in Italia di magistrati indiani; 2) il caso dei due marò italiani accusati di omicidio e da oltre due anni bloccati in India, in attesa di un processo e perfino di un capo d’imputazione giuridicamente accettabile.
Riguardo ai due marò Narendra Modi ha usato toni demagogici molto duri, chiedendo a Sonia Gandhi perché i due non fossero già in galera (dando quindi per scontata una colpevolezza che è ben lungi dall’essere provata) e accusando Sonia Gandhi di proteggerli a causa delle proprie origini italiane.
Ora, questa è la prima domanda: una volta salito al governo, Narendra Modi vorrà sgombrare il campo dalla demagogia e rimettere al centro dei rapporti con l’Italia corrette relazioni politiche ed economiche (come ha fatto da premier del Gujarat nei confronti dei partner internazionali), oppure vorrà cedere demagogicamente alle istanze nazionalistiche dei suoi elettori e mettere alla gogna i due marò, peggiorando ulteriormente i rapporti con l’Italia?
Seconda domanda: dopo decenni di assurda sottovalutazione dell’importanza dell’India, il nostro Paese saprà rendersi conto della assoluta necessità di non perdere per strada un partner di queste dimensioni, destinato ad avere un ruolo centrale nel XXI secolo?
Marco Restelli