Terza ed Ultima Parte. E altri oggetti simpatici, tipo vibratori…

Creato il 28 ottobre 2011 da Postscriptum

Ovviamente non è mai cosa semplice ripetere un capolavoro, così Fagen e Becker non ci riescono con il successivo Gaucho, ’80. Lavoro che si fa attendere per ben tre anni.
Ad onor del vero, durante gli ultimi due anni i due Dan ebbero grossi problemi, di ogni tipo, da quelli legali a quelli di salute (Becker, non essendo probabilmente il bassista più fortunato in paese, viene investito da un auto e tra le altre cose gli muore pure la ragazza). E per quanto riguarda i problemi legali, quelli più grossi dovevano ancora venire.

Subito dopo la pubblicazione dell’album accade che Keith Jarrett, trovandosi ad ascoltare la radio dal barbiere (questa me la sto inventando io), si accorge che gli Steely Dan hanno aggiunto le parole ad un suo pezzo del ’74 (Long As You Know You’re Living Yours, link). Che poteva fare se non telefonargli – beh, forse non andò proprio così – e docilmente (malgrado il suo risaputo caratteraccio) far richiesta: “a questo punto inseritemi tra i credits dell’album, no?

Ma Fagen gli risponde che non se ne parla proprio: “Gaucho (link) è tutta diversa dal tuo pezzo, Keith!”.

In effetti…però… Beh, anche al giudice sembrò che le due canzoni avessero un qualcosa che… beh, diciamo…che i due brani erano pressappoco uguali.

Ma il problema di Gaucho (tutto l’album) è che pur essendo un buonissimo lavoro, segna un cambio di rotta per la band. Tutto suona troppo diverso rispetto agli Steely Dan che conoscevamo. Probabilmente troppa fusion in stile GRP  (link ad un esempio del materiale trattato dall’etichetta GRP. E ditemi se non sembra di ascoltare un brano da Gaucho).

Gli anni ’80 sono stati deleteri per tutti, c’è poco da fare. E poi la mania di perfezione raggiunge l’incredibile: per registrare l’album vengono chiamati ben quarantadue musicisti diversi. Tra cui: ai fiati i fratelli Becker, Randy e Michael; Rick Derringer, Hiram Bullock e Larry Carlton alle chitarre; Ronnie Cuber il grande sax tenorista; Steve Gadd; Joe Sample; Tom Scott; David Sanborn, Jeff Porcaro e addirittura Mark Knopfler.

Fagen, nel frattempo è diventato ancora più stronzo e non sopporta più nessuno, neanche i fans. Insomma, si sta esagerando. Forse i tizi si credono sin troppo elitari. È un peccato, perché di buona roba non ne manca. A cominciare dalla apripista Babylon Sisters (link, uno dei primi pezzi che ho adorato di questa band), davvero epica, la hit da classifica Hey Nineteen, oppure Time Out Of Mind (link) con Knopfler alla chitarra.

Ma si è persa qualcosa, ormai è chiaro. I Dan si prendono una pausa.

Nel 1982 Donald Fagen decide di uscire con il suo primo lavoro da solista: The Nightfly. Ed è un successo così mostruoso che ancora gira per le radio, molto più dei pezzi degli Steely. Non solo, il disco è così ben registrato (e pulito nel suono) che insieme a 1984 dei Van Halen e qualcosa di Michael Jackson, viene usato ancora oggi per testare gli impianti audio o i service prima di un concerto. Così probabilmente tutti avranno ascoltato la title track (link) o Green Flower Street (link), senza sapere che fossero di Donald Fagen.

Per rivedere insieme gli Steely Dan si dovrà attendere sino all’ormai lontano (ahimè, mi parìa l’autr’aieri) ’95, anno di uscita di Alive In America (e cioè l’album che mi passò il tizio divorziato di inizio articolo), tratto dal concerto reunion.

Two Against Nature (2000) invece è il primo album in studio dai tempi di Gaucho. Lavoro assolutamente dignitoso, ma ostico persino per l’abituale ascoltatore del duo. Anche qui una lista di musicista di grosso calibro ad accompagnarli: da Vinnie Colaiuta (sessionman noto per i suoi lavori con Sting) al coltraniano Chris Potter.

Da menzionare almeno la stupenda Gaslighting Abbie (link) (brano che tratta il progetto di due amanti di render pazza la moglie del lui. …evvai che sono sempre i Dan!!!), la funky Two Against Nature (link) e Janie Runaway (link).

Nel 2003 esce Everything Must Go e – se è possibile dirlo in un contesto simile – questo è il lavoro più complicato e discutibile in tutta la discografia dei Dan. Suoni sempre bellissimi e perfetti nell’insieme, moderni e piacevoli da ascoltare ma niente da ricordare, purtroppo. L’album va comunque ascoltato, perché criticar gli Steely Dan vuol dire cercar il pelo in una frittata di duecento uova.

Le ultime notizie, l’anno scorso, davano i Dan in chiusura di un ennesimo tour-reunion. Mi aspettavo un loro lavoro in studio ma non è ancora uscito nulla.

Io non credo di aver chiarito del tutto quanto questa band sia stata importante ed influente sul sound di quasi tutta la roba che ascoltiamo in giro ancora oggi. Si tratta dello stesso caso dei Black Sabbath. Qualche tempo fa spiegavo ad un mio allievo di chitarra che i riff di Iommi è possibile rinvenirli persino nelle schifezze di Laura Pausini (iperbole?). Ecco, la stessa cosa la si può dire per gli Steely Dan. Non ho voluto calcare troppo la mano su questo lato perché spero che chi sta leggendo l’articolo si premurerà di ascoltare i brani segnalati e di conseguenza si renderà conto da solo di quanto sia vero ciò che ho appena detto. E così è tutto anche per questa volta. Ora scusatemi, ma ho un appuntamento a pranzo con Gina (link)…

Alla prossima.

Babar Da Celestropoli


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