Terzo messaggio astrale del papà alla sua bimba: “Lo spazio è silenzio, bellezza”.
Mia piccola Maya,
no, non scrivo dalla mia stanza. Qui non abbiamo vere e proprie stanze. Ti scrivo da quello che chiamiamo “il computer della malinconia”. Lo teniamo in un angolino della navetta un po’ riparato dagli altri angoli. Qui è vietato lavorare, fare confusione, organizzare le feste da ballo o le partite di ping pong. Qui si viene solo per pensare a casa. Tanto per ispirarci, il computer della malinconia è fissato davanti all’oblò che teniamo puntato verso la Terra. Siccome ci spostiamo e la Terra si sposta e anche Marte si sposta, l’oblò e il computer sono in una torretta, come la torretta di un castello, e ruotano automaticamente per non perdervi mai, per tenervi nel nostro sguardo. Da qui ci tuffiamo con la mente verso casa e navighiamo con la fantasia fuori dalla navetta. Fuori e tutto attorno a noi l’universo è silenzioso. Bello come nella notte più bella che tu abbia visto, ma silenzioso. Se ci pensi bene, la notte da noi non è mai del tutto silenziosa: mi vengono in mente le serate sui prati e sento il canto dei grilli e il vento che muove l’erba. Se siamo in inverno, sento il tocco leggero della neve che scende. Se siamo in città, ci sono tutti i rumori che nascono dalla nostra presenza. Ecco, immagina di togliere tutto questo. Immagina un deserto di vita. Resta comunque il vento, ossia l’aria che si muove e sposta la sabbia. Rallenta il vento sino a fermarlo. L’aria non si posa comunque mai. Seppur poco, si muove. Noi viviamo immersi in un mare d’aria che muove ogni cosa e porta in giro i rumori e i profumi. Anche se l’aria non si vede, ricorda che nel mondo non c’è solo quello che si vede né, soprattutto, quello che ti aspetti che ci sia. Qui non è così. L’universo fuori di qui è silenzioso perché non esiste l’aria che porta in giro i rumori fino alle nostre orecchie. Anche io posso solo immaginare quel silenzio mentre guardo dall’oblò, perché il silenzio non si vede, ma si ascolta. Nella nostra navetta c’è tanta aria che ci siamo portati da casa, se no non potremmo respirare, e noi viviamo come sulla terra: immersi nell’aria e nei rumori che l’aria porta in giro. Non ci sarebbe possibile fare diversamente. Vedi, noi uomini possiamo viaggiare, ma non possiamo dimenticare che siamo nati sulla Terra e che il nostro corpo è fatto per vivere solo lì. Il silenzio che arriva dallo spazio è fioco e debole come tutti silenzi, quindi viene cancellato dai nostri rumori, in ultimo dal rumore dei nostri respiri, qui dentro alla navetta. Il tuo papà si domanda spesso come sia il silenzio perfetto che c’è fuori di qua. Non mi viene in mente nulla di simile, se non che è silenzio buono, che non fa paura, dove non può capitare nulla di male. Potrei paragonarlo a quel silenzio che tu ed io e tutti noi abbiamo sentito prima nascere. Te lo ricordi? Immagino che ne rimanga l’eco da qualche parte, dentro ai nostri sogni. Però attenta, parlo del silenzio di quando sei minuscola nella pancia della mamma, e c’è tanto liquido che ti circonda che diventi un puntino come siamo noi adesso rispetto all’universo, e tutto quel liquido caldo ti protegge dai rumori che vengono da fuori. Pensalo di notte, quando la mamma dorme e un bambino minuscolo non può sentire la sua voce. Resta solo il battito del cuore che segna il tempo il passa. È un silenzio perfetto e breve, tra un battito e l’altro, pacifico, buono, che abbiamo ascoltato con la pelle e col cuore, perché a quell’età i bambini non hanno ancora le orecchie. Poi sei diventata grande, hai riempito la pancia e addio silenzio. Il liquido non bastava più a isolarti e hai anche messo su un paio di orecchie. La nave spaziale è un po’ la nostra pancia della mamma quando siamo così minuscoli da non riempirla tutta. Metallo e ceramica ci proteggono da fuori. Fuori però nessuno ci aspetta e non c’è un papà che legge per noi, nonostante la pancia della mamma tutta attorno. Fuori, senza pancia della mamma intorno, non potremo andare mai. Non è un fatto di tempo: non saremo mai grandi abbastanza per nascere nello spazio e camminarci nudi, almeno per un po’.
Il tuo papà.