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Terza Puntata Orlando Furioso: Commenti Selvaggi e Sproloqui Affettuosi

Creato il 13 dicembre 2011 da Gaetanocelestre @GaetanoCelestre

Terza Puntata Orlando Furioso: Commenti Selvaggi e Sproloqui Affettuosi

Dove si era rimasti? Alla dedica, velatamente ironica per i motivi già detti. Una dedica alla corte estense (precisamente al Cardinal Ippolito) che ha il sapore dell’invettiva, almeno per come ve la descrissi nella seconda puntata di questo mio vaneggiante – ma non troppo – commento all’opera dell’Ariosto. Con la scorsa puntata ho concluso la mia introduzione all’Opera e con essa penso siano terminati anche gli accenni più copiosi alla vita del poeta. Adesso vi chiedo per una ultima volta di pazientare ed attendere ancora, tempo di leggere questa terza puntata, ed entreremo finalmente nel vivo del Poema. Nelle ottave che si esamineranno di seguito tratteremo infatti l’Introduzione in versi ad opera dell’Ariosto stesso: il riassunto delle “puntate precedenti”, come nella miglior/peggior tradizione delle fiction televisive statali.

“Il difetto d’ogni preambolo all’Orlando Furioso è che si comincia col dire: è un poema che fa da continuazione a un altro poema, il quale continua un ciclo d’innumerevoli poemi, i quali allo loro volta traggono origine da un poema capostipite…il lettore si sente subito scoraggiato: se prima d’intraprendere la lettura dovrà mettersi al corrente di tutti i precedenti, e dei precedenti dei precedenti, quando riuscirà mai ad incominciarlo, il poema d’Ariosto?”

Queste sono le parole di Italo Calvino, non potevo che riportarle. Immediatamente successive a queste, vi sono quelle famosissime che descrivono l’Opera come testo che si può leggere senza far riferimento a precedenti, “è un universo a sé in cui si può viaggiare in lungo e in largo, entrare, uscire, perdercisi.”

Tutto vero, eppure in qualche modo bisogna capire che cosa era successo prima, no? Ludovico Ariosto, sinteticamente, fa ciò che vi ho già anticipato: si riallaccia al Boiardo e da lì prende il volo in un crescendo di amenità che non potrà non commuovere  – si fa per dire – ogni buon perdigiorno o aspirante tale. Sì, sì, aspirante, perché no? Questo mio scritto, anzi per la precisione l’Orlando Furioso può essere inteso anche come un manuale dal titolo: “Corso base per la nullafacenza beata”.

Diamo un primo sguardo ai versi:

5
Orlando, che gran tempo innamorato
fu de la bella Angelica, e per lei
in India, in Media, in Tartaria lasciato
avea infiniti ed immortal trofei,
in Ponente con essa era tornato,
dove sotto i gran monti Pirenei
con la gente di Francia e de Lamagna
re Carlo era attendato alla campagna,

6
per far al re Marsilio e al re Agramante
battersi ancor del folle ardir la guancia,
d’aver condotto, l’un, d’Africa quante
genti erano atte a portar spada e lancia;
l’altro, d’aver spinta la Spagna inante
a destruzion del bel regno di Francia.
E così Orlando arrivò quivi a punto:
ma tosto si pentì d’esservi giunto:

7
Che vi fu tolta la sua donna poi:
ecco il giudicio uman come spesso erra!
Quella che dagli esperi ai liti eoi
avea difesa con sì lunga guerra,
or tolta gli è fra tanti amici suoi,
senza spada adoprar, ne la sua terra.
Il savio imperator, ch’estinguer volse
un grave incendio, fu che gli la tolse.

8
Nata pochi dì inanzi era una gara
tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
che entrambi avean per la bellezza rara
d’amoroso disio l’animo caldo.
Carlo, che non avea tal lite cara,
che gli rendea l’aiuto lor men saldo,
questa donzella, che la causa n’era,
tolse, e diè in mano al duca di Bavera;

9
in premio promettendola a quel d’essi,
ch’in quel conflitto, in quella gran giornata,
degl’infideli più copia uccidessi,
e di sua man prestasse opra più grata.
Contrari ai voti poi furo i successi;
ch’in fuga andò la gente battezzata,
e con molti altri fu ‘l duca prigione,
e restò abbandonato il padiglione.

Dunque adesso riassumiamo: Siamo tra la Francia e la Spagna, nel momento culminante dello scontro tra cristiani e musulmani. Ma a noi di tutto ciò non ce ne frega proprio niente. Che si scannino tra di loro, questi imbecilli.

Che volevate le descrizioni di gesta eroiche? Ma dite sul serio? Per chi ci sperava, il mio augurio è che ci rinunci pacificamente.

Appurato che le guerre – tutte, nessuna esclusa – servono solo a garantire presunte supremazie di potere, di tipo economico-politico, sempre barcollanti sul filo dell’irragionevole vivere umano, posso affermare con certezza non troppo opinabile che non esistono gesta eroiche che possano giustificare atti di violenza deliberata.

Guerre sante? Santa è la pazienza di Dio, semmai. O se non vi piace lo Spirito Universale ed Infinito, santa è la pazienza dell’Umanità, che credo in larga maggioranza deprechi sempre le ragioni di qualunque guerra!

Una Umanità che però continua a subire le decisioni di chi si trova in opinabile –questa sì – posizione di preminenza sociale, economica e politica. Prima o poi la sopportazione arriverà ad un punto di rottura? Non si sa. Storicamente non è mai successo. Le rivoluzioni sono nient’altro che finzioni mascherate e sempre occultamente eterodirette.

Ma perché non credere nelle quasi infinite facoltà umane, o almeno fingere di farlo?

Fatto sta che persino Omero era dubbioso ai suoi tempi, in merito alle gesta eroiche. Non era un prezzolato come Virgilio, lui. Pensate che il greco mise a capo della Coalizione Achea, due tizi, due fratelli – Agamennone e Menelao – che se fossero stati padre e figlio sarebbero apparsi oggi come una perfetta ipostasi al contrario della premiata ditta Bush. Omero non omette di segnalarci i due come biechi impostori. Per non parlare dell’ingannevole Odisseo e di come trattarono Filottete e di come se ne servirono. E le angherie che subì Achille? Beh, non fatemi ripetere cose già dette. Assodato tutto ciò, perché quel buontempone di Ludovico Ariosto avrebbe dovuto far meno?

Ecco allora che sceglie di porre in secondo piano l’argomento bellico per mettere in risalto argomenti ben più seri. Orlando, una specie di John Rambo con gli occhi strabici – come riportato dalla tradizione – eroe imbattibile e di virtù salda, per lungo tempo era stato innamorato di Angelica.

Bisognerebbe rispolverare il Boiardo ma non c’è tempo, troppi sono gli argomenti da trattare.

Occorre tuttavia precisare che Orlando, prima, neanche la cagava ad Angelica, mentre lei, a causa d’una pozione magica, amava il cugino del paladino, Rinaldo.  Nel corso del poema boiardesco i ruoli si erano invertiti (sempre a causa di beveraggi magici) ed Orlando s’era infine innamorato, come voleva lo stesso titolo. Sennonché poi, colpo di scena, sempre a causa d’una magica bevuta, s’innamora pure Rinaldo e Angelica si disamora.

Si potrebbe cominciare ad avanzare una ipotesi del tipo: il bere troppo, soprattutto se non acqua, talvolta è causa di cattivi convincimenti? In pratica: da ubriachi si combinano facilmente amene stronzate le cui conseguenze spesso non son poi sì tanto piacevoli? È un intento moraleggiante questo, purtroppo continuato anche dall’Ariosto più avanti nel testo.

A questo punto però che ne sappiamo noi,  in mezzo a tutte ‘ste bevute, se Angelica – figlia del re del Catai, Galafrone (di parte mora) – era veramente una bella ragazza, eh? Ci fidiamo della tradizione che ne fa una gran bella figliola? Magari moderiamo solo un poco l’idea: era una ragazza carina, ok? E d’altronde non sarebbero altrimenti spiegabili gli innamoramenti numerosissimi, sia nell’Innamorato che nel Furioso, a danno di cavalieri irreprensibili come Ferraù tanto per fare un esempio.

Dunque Angelica, alla quale dell’amore di Orlando importava un fico secco, gli sfuggiva da quasi due poemi e se lo portava a spasso, facendosi inseguire, per tutto l’oriente conosciuto o conoscibile: “in India, in Media, in Tartaria”. E di stragi ne aveva compiute, il paladino strabico, in nome e per l’onore della pulzella. Nel contempo tra i due non succedeva mai niente. Non so se mi spiego… Magari la principessa del Catai ogni tanto ci provava pure, tanto per vedere la reazione dell’altro. E chissà se nelle nottate uggiose delle zone montane dell’Asia non gli sia venuta veramente voglia di farsi scaldare dal corpo muscoloso dell’eroe (strabico). Ma quello – lo strabico – mai niente, manco a parlarne. La Virtù, la Virtù, esigeva il rispetto e la salvezza dell’onore di Angelica.

Qualcuno di voi ricorderà sicuramente Brancaleone da Norcia in avventure analoghe. Insomma Angelica se la rideva e se lo rigirava come voleva. E non mi dite che non vi sono mai capitate cose del genere e non avete mai sbavato dietro ad una ragazza che ignorava ogni vostro tentativo di rimorchiarla? E poi magari ad anni di distanza vi siete pure vergognati di voi stessi per come la tipa vi ha preso in giro, eh?

Adesso comunque Angelica ed Orlando erano tornati in Europa, presso i Pirenei. Ivi era attendato Carlo Magno con la sua gente e gli alleati di Germania. Il Carlo Magno di Ludovico Ariosto non è l’Agamennone affarista spregiudicato, né il beone cornuto Menelao descritti da Omero, ma ad ogni modo non è comunque granché come eroe. Uno svampito signore ormai ben avviato verso il percorso della senilità più beota. Insomma, Carlo Magno sembra un poco rimbambito nella versione Ariostesca. Ma questa è solo la mia anticipazione. Lo si vedrà più avanti.

In questi versi invece c’è l’ironica pomposità dell’intenzione di Re Carlo che vuol far pentire Agramante (re delle truppe africane) e Marsilio (personaggio non storico qui rappresentante il re delle truppe di Spagna), i quali nel loro folle ardire, avevano condotto sin lì i loro armati. Il riferimento alla guancia sa di schiaffeggio con guanto. Cose da nobili insomma. Anche poco credibili nel rozzo contesto reale e storico della corte carolingia. Molto meglio seguire la letteralità: Marsilio e Agramante, pentendosi, si sarebbero dovuti tumpuliare da sé. Orlando arriva proprio in quel momento. Immaginate la felicità di Carlo che vede il suo più forte paladino:

«Oh, apposto, finalmente arrivau ma niputi. E ora nun ci nn’è ppi nuddu!».

Orlando non ha neanche il tempo di rispondere poco convinto:

«Ciauru ziu, cchi si ricia? Ti puozzu pprisintari a picciotta mia?» – che Angelica gli viene tolta.

Ecco perché Orlando, non appena giunto, si pente del suo arrivo. Al campo francese era arrivato anche Rinaldo, fresco fresco innamorato d’Angelica. Pochi giorni prima era appunto nata la contesa tra i due cugini. Così il Re aveva pensato bene di toglier motivo di sciarra, consegnando la ragazza a Namo, duca di Baviera, presumibilmente un altro vecchio babbione.

Ecco il giudicio uman come spesso erra dice l’Ariosto, riferendosi alla non troppo ponderata decisione di tornare al campo cristiano, da parte d’Orlando. Ma il giudizio umano era errato anche quando Orlando pensava che nessuno avrebbe mai potuto strappar Angelica dalle sue bramose mani, dopo tutto quello che aveva fatto per lei fino a quel momento.

Neanche i più forti cavalieri d’oriente c’erano riusciti. Ora arriva lo zio e gliela sottrae senza che lui possa farci niente. Capita sempre così, no? E non solo in campo sentimentale! Brutta storia!

Ma a proposito di errori di giudizio, pure Carlo non era stato da meno. Per più motivi. Primo fra tutti perché non è vero che sottrarre l’oggetto del desiderio a due contendenti significa appianare i motivi di litigio. E poi come si può pretendere che uno faccia con attenzione il proprio lavoro se ha altri pensieri? Il capo che toglie il collegamento internet ai pc dell’ufficio, quando scopre che tutti gli impiegati chattano o visitano siti porno, mica risolve il problema. Gli impiegati, statene certi, non solo non si rimetteranno a lavorare, ma avranno un nuovo pensiero: “come ricollegarsi alla rete senza che il capo se ne accorga?”.

Il problema, come sempre, è culturale! Il divieto serve a ben poco. In ogni caso, tornando al tema ariostesco, Carlo stabilisce le regole del gioco: chi tra i due cugini ammazzerà più infedeli avrà in premio la ragazza. Una specie di videogioco da Commodore 64, in pratica. Per i più giovani si può far riferimento a Super Mario ed il Nintendo.

Ma come dissi errore di giudizio ci fu!

I mori misero in fuga i battezzati e fecero prigioniero il duca di Baviera. La grandezza dell’Ariosto sta nel saper ironizzare sull’arbitrio umano in maniera sì lieve. I grandi della terra che ragionano tra di loro e si accordano a discapito del popolo ignaro, che danno premi per chi ammazza di più, cinici e disinteressati della sorte individuale d’ognuno di noi. Cose d’ogni tempo. Le si può biasimare acremente o deriderle, al poeta di turno la scelta.

Ora comunque Angelica è sola nel padiglione abbandonato dai cristiani…

Fortunatamente, spesso, poi interviene il Caso (o presunto tale) con la sua equità. Ecco il giudicio uman come spesso erra. Parìa na gran bedda pinsata e ‘nveci…

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Gaetano Celestre



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