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Test invasivi e non invasivi: le principali differenze

Da Genitoriorganizzati

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A cura di: Ufficio Stampa Sorgente

Le future mamme sanno che nel corso dei nove mesi dovranno sottoporsi a numerosi esami che hanno lo scopo di monitorare periodicamente lo stato di salute del nascituro. Tra questi vi sono sia i test di screening sia i cosiddetti test di diagnosi prenatale. Ma quali sono le differenze principali tra queste due tipologie di esami?
I test di screening prenatale fanno parte degli esami considerati non invasivi. Si tratta infatti di test che coniugano analisi biochimiche su un campione di sangue prelevato dalla futura mamma ed ecografie, che servono per verificare la presenza di eventuali anomalie (la verifica avviene mediante il confronto con dati considerati standard). I test di screening prenatale non hanno controindicazioni e non rappresentano un pericolo per la salute né della futura mamma né del feto. Gli esiti di questi test danno risultati di tipo probabilistico: confrontando i dati dell’esame con dei parametri che fungono da benchmark, viene elaborata la percentuale di probabilità di anomalie nel nascituro, come la Sindrome di Down o altre trisomie oppure difetti del tubo neurale. I diversi test di screening prenatale hanno un’attendibilità differente l’uno dall’altro.

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All’interno dei test di screening prenatale il Bi test, il Tri test e il Quadri test rilevano quali sono i valori di alcune proteine presenti nel sangue. Tali test integrano il loro risultato con gli esiti di un’ecografia, la translucenza nucale, in cui vengono realizzate alcune misurazioni sul feto. Questi test hanno una percentuale di attendibilità che va dal 60 al 85%. Fanno parte dei test di screening prenatale anche i test prenatali non invasivi di analisi del DNA fetale. Si tratta di esami che analizzano un campione di sangue prelevato dalla futura mamma per individuare i frammenti di DNA del nascituro (tracce del DNA del bambino infatti si trovano nel sangue materno durante la gestazione). Mediante questo test i genitori possono essere informati sulla possibilità che il feto presenti anomalie genetiche, come la Sindrome di Down, la Sindrome di Patau o la Sindrome di Edwards. A differenza di Bi test, Tri test e Quadri test, questo esame è estremamente affidabile (fino al 99%).

I test di diagnosi prenatale, invece, sono esami di tipo invasivo e comprendono amniocentesi, villocentesi e cordocentesi. Si basano sull’analisi di campioni di liquido o di tessuto che il medico preleva direttamente dal bambino, con lo scopo di rilevare con risultati certi la presenza o meno di anomalie. A partire dai risultati di questi esami infatti viene fornita una vera e propria diagnosi sullo stato di salute del nascituro. Le modalità con cui questi test vengono effettuati sono perlappunto invasive: il campione di tessuto o liquido viene prelevato per mezzo di una siringa direttamente dalla pancia della futura mamma. Nel caso dell’amniocentesi si utilizza un campione di liquido amniotico, nella villocentesi viene prelevato un frammento di tessuto dalla placenta, mentre nella cordocentesi si analizza un piccolissimo pezzettino di cordone ombelicale. Proprio a causa del loro carattere invasivo, i test di diagnosi prenatale hanno una percentuale di rischio di aborto pari a circa l’1%.
Ovviamente spetta al ginecologo decidere se raccomandare o meno alla futura mamma di sottoporsi a questi test, anche in base al suo stato di salute, alla sua età e alla presenza di eventuali familiarità con anomalie cromosomiche.

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