A rompere il ghiaccio è Sonia stessa.
Prima di lasciare a lei la parola, ricordo solo che il mio indirizzo mail è giu' in fondo al blog.
Se preferite parlare della vostra storia mantenendo l'anonimato, potete farlo usando un nome fittizio.
Dai, che voglio vedere l'elenco sulla colonnina destra del blog allungarsi sempre di piu'!!!
DANZARE CON LA MORTE (E PESTARLE I PIEDI FINO A FARLA SCAPPARE)
scritto da Sonia del blog RINASCO BIONDO CENERE
Vent'anni dopo.
Raccontare la mia storia non mi è facile: è la prima volta che la scrivo, per filo e per segno.
In un certo senso, è una sfida anche per me.
Forse iniziare è la cosa piu' difficile. Seguo la logica? Cause-effetti? Seguo la cronologia? Le emozioni?
Penso che seguiro' le immagini.
La prima, vivida e feroce, è di una bambina nata alla fine degli anni Settanta.
E' al mare questa bambina, insieme con un'amica di famiglia.
La bambina sono io: ho sei anni e ho paura delle meduse.
Mia mamma è al nono mese di gravidanza e quest'amica mi porta al mare insieme a sua figlia.
Che è una bambina con uno o due anni piu' di me, ma a differenza di me è bellissima e, come si direbbe oggi, popular: d'altronde si chiama Barbara, nome di moda all'epoca (mentre io mi chiamo come un'eroina sfigata di romanzi russi) ma tutti la chiamano Barbie perche' è bionda, alta e ha gia' un accenno di curve.
Lei gioca nell'acqua, che pero' la corrente rende torbida: visto che ho paura delle meduse, resto sotto l'ombrellone a mangiare "mille lire" di pizza rossa presa all'alimentari.
La mamma di Barbie è al mio fianco, mi squadra e mi dice: "Tesoro...ormai hai sei anni: dovresti iniziare a starci un po' attenta. Hai tre pance e stai mangiando una fetta immensa di pizza. Insomma, non ti si puo' guardare."
E' come se, in quel momento, una macchia di inchiostro nero avesse lordato un quadro bianchissimo.
Non ho mai raccontato a nessuno quel momento in cui ho sentito incrinarsi qualcosa in me.
D'altronde quella signora non si sara' resa conto del peso che avrebbero avuto le sue parole, e nemmeno so se è viva. Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato.
Ma piu' di qualcosa inizia da lì: perdo peso la prima volta.
Io rompo un po' gli schemi classici - e secondo me riduttivi - della potenziale anoressica: vengo da una famiglia semplice, di poche possibilita', ma estremamente amorosa. Non guardavo altra tv che i cartoni animati, non mi sono mai interessata all'estetica e all'aspetto fisico, tanto che ho imparato a truccarmi un po' a 33 anni e faccio disperare il mio compagno perche' odio acquistare i vestiti.
Sicuramente anche nella mia famiglia c'erano dei nodi irrisolti legati alla femminilita' e alla sessualita', parlando oggi con mia madre (mai pero' della malattia) me ne rendo conto.
Forse anche questo mi ha lasciata bambina piu' a lungo delle altre: non sessualizzata, ancora ingenua e fiduciosa.
Ma anche fin troppo responsabile, ipersensibile, empatica, solitaria e idealista.
Forse, oggi, qualcuno con la vista lunga mi avrebbe giudicata a rischio. All'epoca no.
Quello che mi ha cambiato la vita, pero', è accaduto quando ho iniziato le scuole medie e, appunto, ero ancora una bambina di dodici anni. Non mi sembra un crimine esserlo.
Eppure...
Inizio' tutto quando due ragazze piu' grandi "accidentalmente" mi spintonarono con violenza e io finii con la testa contro un water. Il giorno dopo, senza nemmeno piu' cercare di simulare l'accidentalita', mi inseguirono mentre andavo a scuola per picchiarmi e gettarmi contro le serrande dei negozi chiusi.
E fu l'inizio di anni d'inferno. Di sputi, di botte, di insulti umilianti e metodici.
La mia colpa? Ero brutta.
Sì, non sono mai stata una gran bellezza.
Ero una bambina anonima diventata un'adolescente sgraziata. Una bambina con le arcate dentali totalmente protruse, che avevano sconfitto gia' due dentisti.
Non è un'attenuante per i miei persecutori ed è, anzi, un atto d'accusa verso i professori che hanno preferito far finta di nulla, girarsi dall'altra parte perche' avrebbero dovuto punire indiscriminatamente ragazzine di buona famiglia - i cui genitori si sarebbero lamentati - e futuri delinquenti figli di famiglie a disagio, giudicati ormai irrecuperabili.
Nel mezzo c'ero io e la mia famiglia, soli, in un paese piccolo dove io non potevo piu' nemmeno uscire di casa.
Il culmine l'ho toccato in terza media, quando durante una festa di carnevale, il peggiore dei persecutori mi ha presa per il collo e mi ha sibilato in faccia "Quanto fai schifo!" gettandomi giu' dalle scale, di schiena. Tra le risate delle mie belle compagne vestite da punk.
Dopo quell'episodio e un'altra aggressione palese, avvenuta senza alcun ritegno durante l'ora di lezione, una professoressa di matematica rientrata in servizio dopo una lunga malattia si sconvolse e intervenne, prendendo a cuore il mio caso.
Gli ultimi mesi prima degli esami furono quasi normali, ma la mia autostima e l'orologio dello sviluppo si erano del tutto sfasati.
Le scuole superiori non c'erano nel mio paese, quindi i primi tre anni in cui studiai a trenta chilometri di distanza da casa furono di relativo sollievo.
Peccato che sul pullman e nel gruppo scout le dinamiche di aggressione fossero ancora presenti.
Ma finalmente avevo trovato un dentista che, con un intervento piu' radicale - togliendomi cinque denti sanissimi - stava riportando le arcate dentali quasi al loro posto.
Ero fiduciosa: lui avrebbe rotto l'incantesimo, mi avrebbe svegliata dall'incubo, avrebbe rimosso la maledizione...sarebbe stato la scarpetta di cristallo sul piede di Cenerentola, il bacio del principe sulle labbra di Biancaneve, la spada sul collo del drago!
Tolsi gli apparecchi a quindici anni e...non cambio' nulla.
Quindi, evidentemente, c'era qualcosa che non andava in me.
Qualcosa per cui non riuscivo ad essere amata e accettata.
Magari era colpa delle mie cosce.
Sono sempre stata longilinea ma, fino a pochi anni fa', non avevo mai fatto sport, quindi non ero affatto tonica nè modellata come le mie compagne di classe, sempre divise tra danza e nuoto, attivita' che non potevo permettermi.
Eppure, quando iniziai a perdere peso e a schiarirmi i capelli, sembravo improvvisamente diventata "cool" anche io. Venivo considerata un tipo.
Ma non bastava, qualcosa dentro era ormai rotto e un giorno dissi basta.
Se non posso farmi amare nè odiare, se la mia presenza non serve, allora voglio diventare invisibile.
Quel momento lo chiamo "il grande click".
Perche' qualcosa è letteralmente scattato nel cervello, il grilletto ha fatto esplodere la pistola caricata per anni.
Ho iniziato leggendo una dieta - udite udite, andiamo sul vintage spinto - della Lambertucci pubblicata su uno di quei giornali che le mamme tengono in bagno.
Era chiaro, da quello che leggevo, come l'impossibilita' di essere amata fosse colpa mia.
Ma che maiale ero! Quante calorie ingerivo? Facevo colazione con due tazze di latte e dodici Miccole del Mulino Bianco! Era proprio lì la chiave di tutto: nelle cosce. Le cosce come quelle delle donne condannate a sopportare e a sacrificarsi per gli altri, senza nemmeno un attimo per leggere o pettinarsi, sempre angosciate e stanche.
Nelle cosce c'era il mio destino e, cambiandole, l'avrei modificato.
Forse se fossi tornata com'ero prima di incontrare i bulli, com'ero a dodici anni, tutto si sarebbe risolto. A dodici anni pesavo quaranta chili e non avevo il ciclo.
Nè uomo nè donna, nè bambina nè adulta, ero in uno stato di grazia.
Tornando com'ero, tutto sarebbe tornato com'era.
Alla peggio, l'invisibilita' mi avrebbe protetta dall'odio, visto che l'amore non mi vedeva comunque.
Lo so, sono ragionamenti che non hanno senso così, messi nero su bianco, oggi. Ma se voi che leggete ci siete passate, sapete di cosa sto parlando.
Non sei tu a ragionare. E' qualcosa che si impossessa di te, un nero di seppia che penetra dalle ferite non rimarginate e riempie i tuoi vuoti. Non sei piu' tu. Non vivi.
Di quegli anni ho ricordi a sprazzi. Sono stati tre, credo, quasi quattro. Per riavere il ciclo ce ne sono voluti, poi, altri due.
Non ho mai vomitato: non sapevo nemmeno che si facesse! Altri tempi ;-)
Restringevo e facevo attivita' fisica.
Mia nonna credeva prendessi i lassativi per dimagrire, in realta' il mio intestino si era licenziato per la scarsita' di...materia su cui lavorare.
Ma essendo, appunto, longilinea di corporatura non è servito poi tanto per arrivare a un passo dallo sparire davvero e definitivamente. Credo di essere arrivata a ventotto chili e scriverlo qui mi fa quasi impressione. Perche' allora smisi di pesarmi e in realta' non so esattamente dove arrivai.
Ricordo il male alla schiena, alle creste iliache e il male all'osso sacro contro il materasso.
Ricordo i massaggi di mio padre, con le sue manone enormi e forti, sulla mia pancia gonfia e vuota.
Ricordo mia madre in lacrime bestemmiare alle stelle mentre, nel paesino deserto, cercava disperatamente una bilancia digitale per misurare i miei progressi sul grammo, senza trovarla.
Ricordo che una volta caddi dalla bici perche' mi si annodarono i lacci delle scarpe ai pedali: tutti mi corsero incontro pensando che mi fossi sentita male o fossi morta e nessuno si accorgeva che non riuscivo ad alzarmi perche' avevo le scarpe incastrate.
Ricordo i riti: alzarmi prima degli altri, apparecchiare in maniera maniacale per le colazioni di tutti, rifare tutti i letti. Ricordo l'attivita' fisica continua, compulsiva.
Ricordo le fiale di Centrum - la cazzoneria non mi aveva abbandonata e lo chiamavo "centrum/canestrum/goal" - e le punture di vitamina B.
Ricordo che il medico, per monitorare eventuali progressi, mi faceva pesare sulla bilancia del fruttivendolo, che aveva il negozio in piazza. Poi uno si chiede come mai non abbia rapporti di alcun genere con i miei compaesani...
Non c'erano tante accortezze, non c'è mai stato l'aiuto di uno psicologo, nè di un nutrizionista. Il secondo, forse, mi avrebbe aiutata concretamente. Il primo non so se lo avrei accettato.
C'è stata, ad un certo punto, la mia forza di volonta'. Quella stessa che mi aveva portata a distruggermi, convogliata nella ricostruzione.
Mi comprai un libro di sana alimentazione, iniziai a cucinare e mi impegnai a guadagnare peso. Perche' io volevo fare l'esame di maturita' e andarmene dal paesino. Dove, tutt'ora, qualcuno dice che ho una sorella gemella "pazza" ricoverata da qualche parte...Dove qualcuno, spesso, mi ammonisce a priori perche' ho avuto "gravi squilibri". Eh gia': una vera stupratrice di scoiattoli da tenere sotto controllo. Dove torno spesso perche' amo tantissimo i miei e sono così riamata che, non fossi stata spodestata da un cane, sgattaiolerei tra di loro la mattina. Ma con tutto quello che esula la mia famiglia non ho rapporti che superino il disprezzo.
Guarire è stato duro: all'inizio il mio corpo sembrava non riuscire a riprendere peso e dovevo sforzarmi di mangiare quantita' ingenti di cibo, cui il mio stomaco non era abituato (e farebbe fatica anche oggi). A volte ero guidata da voglie, che interpretavo come fame di una determinata sostanza da parte del mio corpo.
Ho lasciato che fosse lui a guidarmi, mentre la mia mente e la mia volonta' puntavano a testa bassa verso l'obiettivo di riprendermi e partire.
Non ricordo se mi furono presentati i rischi che correvo: probabilmente sì, ma erano astratti per me.
I globuli rossi che si assottigliavano: e chi li vedeva? Mi fece impressione, invece, sapere che rischiavo di perdere i denti. Proprio loro, che mi erano costati tanta fatica. Quella fu una buona leva usata dal mio medico di base, non so se scientemente o per caso.
In qualche maniera, ferito e ignaro di esserlo, il mio corpo ne uscì.
Ripresi a mangiare, prima con sforzo e poi con facilita', ma ci sono voluti anni prima di sentire di nuovo la fame sana. Quella che "Ho fame e mi compro un panino (non uno yogurt)".
La mia mente, pero', quando ne è uscita?
Per anni, comunque, ho sempre mangiato da "convalescente". In maniera normale ma prediligendo sempre certi alimenti "invisibili", come le mele bianche, i formaggi molli e magri, pane no, olio dosato con il cucchiaio.
Pizze figuriamoci: quelle si mangiano con gli amici e io non ne avevo. Io dovevo studiare, laurearmi in fretta per iniziare il mio riscatto.
Sapevo, dentro di me, che se fossi ingrassata sarei potuta ricadere. Ero sicura che tutta la mia vita sarebbe stata così, in trincea.
Invece, a ripensarci, ero troppo pessimista.
Subito dopo la mia laurea, mi sono trovata entrambi i genitori fragili, uno invalido e l'altra depressa cronica: sono io che devo vegliare su di loro. Ovviamente questo ha condizionato terribilmente quelli che dovevano essere gli anni del riscatto.
Ma in tutte quelle tempeste non ho mai avuto, mai, un cedimento sul fronte dell'alimentazione. Mai un colpo di testa. Veramente non avevo proprio testa per colpi del genere (il mio medico di base dell'epoca invece era preoccupato anche per me...devo averlo sorpreso).
Ma solo pochi anni fa' mi sono resa conto di esserne fuori per sempre.
Ero a Londra e volevo acquistare in una nota catena abiti da ufficio a poco prezzo: avevo adocchiato un tailleur pantalone molto bello a 8£. Peccato che fosse lunghissimo, se volevo farci entrare il sedere, oppure strettissimo, se della mia lunghezza. Con leggerezza sono andata da una commessa e le ho detto "Sono italiana e amo la pizza: mi consigli un pantalone adatto al mio culo?" e lei, sorridendo, mi ha aiutata.
A rivedere ora quei pantaloni taglia M sono un offensivo surrogato di burqa, ma io li comprai tutta contenta.
La sera, al pub, dissi al mio compagno "Sai, so che se facessi una vita piu' morigerata potrei stare in pantaloni piu' fichi. Non dovrei essere in questo pub, ad esempio. Ma io preferisco cambiare modello di abito che cambiare stile di vita!"
In quel momento, mi resi conto di essere guarita. Ero libera, davvero.
Quella pinta di sidro è stata la piu' buona della mia vita.
Il mio mondo non ha piu' calorie nè bilance.
Non mi peso da anni, non so quante calorie io ingerisca ma comunque tante.
Paradossalmente, da quando mangio senza pensarci, il mio metabolismo è accelerato e sono diventata un'ottima forchetta.
L'olio è un amico che doso ad occhio e che mi incanta con il suo aroma, la cioccolata nera è la mia droga, la frutta secca la mia passione, pasta e pizza la mia gioia, come gli ipercalorici legumi.
L'unico mio limite è cercare alimenti alcalinizzanti e ricchi di vitamine, perche' purtroppo sono osteopenica.
Ovviamente l'ho scoperto da sola e anche tardi, giusto due anni fa'. Ho iniziato così la mia singolare battaglia con il tempo per recuperare piu' massa ossea possibile prima della menopausa, che scorre precoce nella mia famiglia.
Questa scoperta, per me, è stata uno shock. Pensavo che il passato fosse alle mie spalle e me lo sono ritrovata nelle ossa. Quella MOC mi diceva: guarda che i bulli hanno vinto comunque. Non è così, lo so. Lo so con la ragione ma il mio cuore, quando ci penso, si spezza. Assorbire il trauma ha richiesto del tempo, anche perche' mia nonna è morta a causa di una serie infinita di fratture spontanee. E' dura, non lo nego: mi manca una comunicazione aperta e razionale con i medici. Mi manca poterlo dire e farlo accettare: se qualcuno lo viene a sapere mi guarda come se fossi un mostro, portatrice del germe della vecchiaia. I miei ovviamente non sanno. Faccio finta di nulla, cerco di vivere come se niente fosse ma mi tengo informatissima su studi e cure, finche' è possibile naturali: ho la consapevolezza, ho la forza, ho la lucidita'. Vincero' anche questa sfida.
La cosa peggiore è che, per tutte le persone che mi hanno incontrata in quel periodo, io sono l'anoressica.
Non c'è pasto con i parenti in cui la mia mascella non sia monitorata nei movimenti. Non c'è vecchio amico che non mi guardi prima il culo e poi la faccia. E non certo perche' io sia Belen.
Ricordo quando, un giorno, incontrai in metropolitana la professoressa di latino e greco. Ero contenta come ogni laureata che va a vendere al telefono l'ADSL: avrei incenerito il mondo con il lanciafiamme.
Lei mi adocchia e grida: " Ma ti vedo benissimo! Guarda che belle guance che hai! Sei felicissima!"
Sì, come no...
Oppure, a volte tendo a non parlarne ai medici. Perche' non credono mai che ne sia uscita. Iniziano a farmi domande strane e a scrutarmi incuriositi. Possibile che mangi frutta secca come uno scalatore tirolese? Ma sei sicura che mangi?
E finiscono per non ascoltarmi veramente. L'anno scorso sono stata poco bene e questo atteggiamento mi ha creato piu' di qualche problema. Mi sono stufata di giurare l'ovvio.
Quel che mi rimane, forse, è la rabbia. Per gli anni non vissuti, per la serenita' che è mancata proprio quando doveva essere totale, per le risate, le avventure, gli amori e i viaggi che non sono esistiti perche' negli anni principali dell'adolescenza mi sono stati strappati dalla malattia.
Vorrei parlarne con uno specialista, che sia disposto ad andare oltre i disturbi alimentari, che sono parte del passato, un sintomo potente tra i tanti di un male piu' profondo.
Mi fanno infuriare gli articoli di giornale - o peggio ancora i racconti - nei quali chi soffre di DCA è fondamentalmente una traviata (dalla moda o dalle compagnie sbagliate) che viene riportata sulla retta via del corpo/ruolo femminile-materno-passivo-accogliente dal principino azzurro di turno. Queste storielle stucchevoli giocano contro le ragazze malate, perche' rigettano su loro stereotipi incatenanti. Non capiscono che un corpo malato è un urlo di Munch: dolore, rabbia, solitudine, furia, bisogno e negazione. Piuttosto che diventare assassine, ci ammazziamo da sole, piano piano, con ogni morso non dato.
La superficialita' ci fa dare di matto.
I luoghi comuni e le etichette ci fanno sragionare.
Perche' siamo semplicemente meravigliose, abbiamo abissi immensi che richiedono nutrimento speciale. Non tutte le mani sono così stupende da poterci accarezzare: abbiamo l'anima sulla pelle. Abbiamo discese ardite e risalite. Se solo vedessimo quanto siamo speciali...
Vi amo, sorelle mie.
Detto da una che celebra i venti anni da quando ha danzato con la morte e le ha pestato entrambi i piedi.
Sonia
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