Dopo una esperienza atroce a Fiumicino risalente alla scorsa domenica pomeriggio, con folla terribile, caldo atroce, smart gate per passare con il passaporto elettronico chiusi, bambini che si sentivano male, che dovevano andare in bagno, anziano che svenivano, ci siamo apprestati a raccontare la storia per illustrare le foto. Poi abbiamo ricevuto un link da La Stampa che spiegava la cosa mille volte meglio di quanto avremmo potuto fare noi. E allora ecco qui il testo.
Poiché gran parte dei passeggeri stranieri in arrivo non conosce l’italiano nè tantomeno la struttura del Leonardo da Vinci ciò significa gettare nel l’incertezza chiunque ha una coincidenza da prendere. Il risultato è vedere anziani, famiglie con bambini e uomini d’affari chiedere a chiunque “come si esce da qui?”, “dove sono gli altri terminal”, “dobbiamo prendere un taxi?”. Nel caos generale, questo fiume di passeggeri in transito - tutti muniti di carte di imbarco per le rispettive coincidenze - si riversano fuori dal terminal 3 e, a piedi, devono raggiungere i terminal 1 e 2 dove ripetere i controlli della sicurezza e tentare, finalmente, di raggiungere il così tanto sofferto gate.
Nulla da sorprendersi se in questa folla di malcapitati, totalmente ignari dell’incendio avvenuto, maturino sentimenti ed opinioni tali da convincerli che transitare per Fiumicino, e più in generale per l’Italia sia qualcosa da non ripetere. Un buyer francese di prodotti agricoli, atterrato da Tel Aviv e diretto a New York parla di “caos epico” rimproverando al telefono la segretaria di non avergli preso voli con scalo in “aeroporti normali come Amsterdam e Francoforte”. Un ottantenne argentino, arrivato da Buenos Aires diretto a Venezia, ammette di “aver avuto paura di svenire nella bolgia dell’arrivo” e si chiede perché “nessuno spieghi nulla a chi è in transito”. Una madre americana con due figli piccoli, di cui uno in passeggino, arrivata dagli Usa per volare a Torino corre lungo il marciapiede verso il terminal 1 chiedendo a tutti “is it here?”, è qui?
Poiché i passeggeri in transito costituiscono gran parte del flusso commerciale di un grande scalo internazionale, condannarli a tali esperienze significa suggerirgli di cambiare rotta in futuri viaggi. Sorprende come tutto ciò avvenga nell’apparente indifferenza dei gestori dello scalo perché, tornando a passare per Fiumicino pochi giorni dopo, nulla è mutato. Nè l’assenza di informazioni, nè la bolgia agli arrivi internazionali nè la rabbia dei passeggeri stranieri . A cui non pochi italiani esprimono comprensione umana e danno assistenza volontaria tentando di sopperire alle imbarazzanti disfunzioni dell’aeroporto.