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- Categoria principale: Festival
- Categoria: Torino Film Festival 2015
- Pubblicato: 25 Novembre 2015
UNDER ELECTRIC CLOUDS di Alexey German Jr.
Scritto da Simone Soranna
Under Electric Clouds è uno dei film più autoriali passati in rassegna sinora alla kermesse torinese. Questo fatto implica una notevole difficoltà di giudizio, che meriterebbe più tempo per essere maturata a dovere e, soprattutto, una seconda visione. Sin da subito però è chiaro che l’opera firmata dal regista russo è una pellicola ambiziosa, lirica, solida, umana e circondata dal primo all’ultimo minuto da un pessimismo lacerante. Articolato in sette episodi ambientati in un’ipotetica (ma forse non troppo) Russia del 2017, il film segue spaccati di esistenza di diversi personaggi accomunati da un senso di inadeguatezza nei confronti di un alto e spettacolare edificio a rischio di smantellamento. Ricreando un paesaggio livido e desertico, Alexey German lascia muovere i suoi protagonisti all’interno di uno spazio disorientante, omologato e senza punti di riferimento che rispecchia esattamente le loro vite. La componente umana e la solidarietà saranno le carte che (forse) daranno loro accesso ad una via di fuga, lontana dalla freddezza metallica delle macchine (presenti in massa durante il film tra robot, motorini, palazzi, industrie ecc.) e dal rigido individualismo legato alle differenze di razza, lingua e cultura. Avvalendosi di una regia studiata nei minimi dettagli, con lunghe inquadrature dotate di rara bellezza e movimenti di macchina sinuosi e mai ingiustificati, German riesce a dar prova del suo talento visivo senza mai scendere a patti con lo spettatore. Il film infatti è davvero complesso e spinoso da seguire, calibrato su tempi molto lunghi e su un’estetica autoriale che ricorda decisamente la matrice geografica di provenienza del regista. Affascinante.
Voto: sospeso fino a una seconda visione
TE PROMETO ANARQUIA di Julio Hernandez Cordon
Scritto da Valeria Morini
Al TFF, arriva dal Messico (con co-produzione tedesca) questo interessante lavoro del regista Julio Hernandez Cordon, già portato all'ultimo Festival di Locarno. Il queer movie sbarca nelma manifestazione sabauda con un racconto di formazione giovanile incentrato sul corpo e il volto del giovanissimo e ottimo Diego Calva Hernández. Miguel è un ragazzo benestante che si aggira tra i più poveri quartieri di Città del Messico a bordo del suo inseparabile skateboard, un ribelle senza causa che vive una relazione clandestina con Johnny (Eduardo Eliseo Martinez). I due ragazzi si immischiano in un sordido business nel mercato nero dei donatori di sangue, in affari con alcuni pericolosi gangster. Il coming of age, la tematica gay, l’estetica del pedinamento, la discesa negli inferi di una mala gioventù che non riesce a perdere il suo barlume d’innocenza sono temi già ampiamente trattati, eppure Cordon riesce a coinvolgere lo spettatore in un suggestivo intreccio noir dai toni mélo che non trascura ampie dosi di sensualità nelle scene omosessuali. Dalla sua, il film ha inoltre un affascinante ritratto del mondo degli skaters messicani, ambizioni di critica sociale nel rappresentare il degrado morale di uno dei Paesi più violenti del mondo e una ricercata colonna sonora che si sposa perfettamente alle sequenze (tra gli altri, spiccano il brano The Sun di Baxter Dury e una cover in spagnolo di Sunny). Purtroppo, però, Te prometo anarquía sembra spegnersi nel finale, regalando una conclusione che appare posticcia rispetto al resto della pellicola. Un difetto che comunque inficia solo parzialmente la visione di un’opera certo imperfetta e non originalissima, ma ben diretta da un autore che vale la pena di tenere d’occhio.
Voto: 2,5/4