Either way è un film estremamente visivo, nel senso che Hafsteinn Gunnar Sigurosson sfrutta molto gli ambienti obiettivamente affascinanti della sua terra per raccontare una storia privata, la cui evoluzione non avrebbe spazio in un luogo diverso.
I due protagonisti passano l’estate a piantare paletti e tracciare linee per la realizzazione di una nuova strada che attraversa le lande islandesi.
Intorno a loro il nulla, il silenzio, la natura brulla di quei luoghi.
La situazione è ideale per conoscersi meglio, sebbene già l’uno sia il fratello della fidanzata dell’altro.
Siamo negli anni ’80, come il videogioco ed il mitico orologia digitale della Casio segnalano in maniera incontestabile.
Due uomini profondamente diversi imparano a conoscersi, si scontrano, si odiano, litigano e completano il loro percorso stringendo un’amicizia che entrambi pensavano impossibile.
Intorno a loro il nulla, il silenzio (l’ho già detto? eh, vabbè!).
L’unico altro personaggio che compare è un camionista che saltuariamente passa e finisce per lasciare sempre una bottiglia di liquore.
Il film è ironico, estrae più di un sorriso, ma l’attenzione di Sigurosson è tutta sul mondo che circonda i suoi protagonisti.
Inquadrature larghissime, spettacolari, macchina da presa quasi sempre fissa o al limite con movimenti molto lenti.
L’ambiente è protagonista effettivo con i due uomini.
E poi quelle due inquadrature, la prima e l’ultima, che da solo sono motivo sufficiente per andare a vedere un film che libera un po’ i cuori.
Nota.
Il film è il film vincitore del 29° Torino Film Festival e si aggiudica anche il Premio Scuola Holden