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TFR in busta paga: un aiuto che le famiglie pagano caro

Creato il 25 ottobre 2014 da Capiredavverolacrisi @Capiredavvero

La misura per il pagamento ai lavoratori dipendenti del TFR in busta paga, approvata dal Governo con la Legge di Stabilità, nasconde diverse insidie e potrebbe in alcuni casi portare più danni che benefici attraverso una maggiore tassazione, inoltre il suo pagamento è precluso ai dipendenti pubblici.
In questo articolo esploriamo i numerosi risvolti.

Prima di esaminare i dettagli del provvedimento cerchiamo di comprendere meglio il TFR.

Cos’è il TFR

Il TFR, o Trattamento di fine rapporto, è una parte della retribuzione del dipendentequindi sono soldi che già appartengono al lavoratore – che viene accantonata dal datore di lavoro sino al momento di cessazione del contratto di lavoro. Il TFR, concepito nel 1927, offre una serie di vantaggi:

  • Costituisce una liquidazione per il dipendente nel momento di cessazione del rapporto di lavoro, finanziando così il periodo fino all’inizio di un nuovo lavoro o al ricevimento della pensione. L’importo accantonato in ciascun anno di lavoro corrisponde alla retribuzione annua lorda divisa per 13,5 meno la contribuzione all’INPS dello 0,5% (si veda anche da Il Sole 24 ore).
  • L’importo accantonato si rivaluta nel tempo: 1,5% in misura fissa più il 75% dell’inflazione (misurato mediante l’indice dei prezzi al consumo – FOI – calcolato dall’Istat). Questa rivalutazione è oggi di molto superiore al rendimento dei BOT.
  • Può già oggi essere anticipato (per un massimo del 70%) per giustificate necessità come spese sanitarie o acquisto prima casa.
  • Il TFR non entra a far parte del cumulo dei redditi, ma è soggetto a tassazione separata con un’aliquota (percentuale) media dei 5 anni precedenti. In genere quindi il prelievo fiscale sull’intero importo del TFR è molto più favorevole della tassazione ordinaria.
  • Il lavoratore può decidere di non conservare il TFR in azienda, ma di conferirlo a fondi di previdenza complementare; nelle aziende con più di 50 dipendenti, i fondi vengono trasferiti dal datore di lavoro al Fondo di tesoreria INPS.
  • Il TFR ha costituito nel passato, lo è sempre meno dopo la riforma del 2005, una forma di finanziamento delle aziende, quest’oggi è diventato anche una forma di finanziamento per l’INPS.

Legge di stabilità 2015: il TFR in busta paga

Con la legge di stabilità 2015, messa a punto dal Governo il 15 ottobre 2014, viene sancita la possibilità per i lavoratori dipendenti, ad esclusione dei dipendenti pubblici (dipendenti di Stato, regioni, enti locali e altri enti statali), di avere il TFR in busta paga; il Governo altresì tiene a precisare che il provvedimento comporta zero costi per le imprese. Ma vediamo di seguito i risvolti di questa decisione:

  • L’intento è quello di far affluire più denaro alle famiglie nella speranza che ciò si traduca in maggiori consumi, incrementando a sua volta le entrate IVA, o se non altro per attutire meglio l’impatto di tributi locali in aumento (TARI, TASI, IMU e addizionali IRPEF); in realtà è probabile che queste si traducano in risparmi preventivi per future difficoltà economiche o tutt’al più per pagare qualche bolletta arretrata, visto che ormai 1 cittadino su 3 non riesce a far fronte al pagamento delle utenze domestiche (fonte Codacons).
  • Il TFR in busta paga è una scelta del dipendente, che può ricevere fino al 100% della somma maturata nel corso dell’anno; questo importo verrà tassato come la normale retribuzione e quindi alla massima aliquota raggiunta dallo stipendio e non a quella più favorevole del TFR corrisposto al termine del periodo lavorativo. Difficilmente un lavoratore sarà in grado di valutare a pieno l’impatto della diversa tassazione dato che l’importo in busta paga potrebbe:
    o   Far scattare lo scaglione di aliquota superiore
    o   Portare la retribuzione annuale oltre la soglia massima del bonus degli 80 euro (26.000 euro e a scaglioni variabili a seconda dei figli a carico)
    o   Incidere sulle detrazioni di imposta
  • La scelta del TFR in busta paga scatterà dal primo marzo del 2015 e sarà irrevocabile sino al 30 giugno del 2018. Quindi chi lo richiede non potrà poi sospenderlo per mutate esigenze familiari.

Quindi da un lato il Governo fa il beau geste (tr. gesto nobile) di dare più soldi alle famiglie, soldi peraltro già di proprietà dei lavoratori, e dall’altro li tassa senza ritegno.
Saranno in grado i lavoratori di calcolare gli impatti del TFR sul proprio reddito e la relativa tassazione? E qualora ben lo comprendessero, le adesioni saranno più numerose fra i cittadini più in difficoltà?

Da questo punto di vista, la tassazione ordinaria del TFR appare quanto mai discutibile.

Ma se quindi, a ragion veduta, alcuni dipendenti valutassero di non fare nulla e di non chiedere il TFR in busta paga?
Il Governo si è occupato anche di loro, e vediamo in che modo:

  • La tassazione dei fondi pensione, il pilastro della previdenza integrativa che dovrebbe compensare la prestazioni calanti dell’INPS, passerà dall’11% al 20%.
  • Sulle rivalutazioni del TFR e sui redditi dei fondi di previdenza la tassazione passerà dall’11% al 17%.

Quindi il Governo ha pensato bene di colpire anche tutte le forme di previdenza complementare, introducendo maggiori tasse dal 2015 in poi; disincentivando quindi l’utilizzo nel futuro del secondo pilastro previdenziale.
Questa azione è quanto meno inopportuna, per non dire sconsiderata, se la si rapporta alle giovani generazioni che faticano a trovare lavoro e che quand’anche lo trovano dovranno fare i conti con prestazioni pensionistiche assolutamente inadeguate.
Deprecabile la giustificazione che ha dato il Governo per questa misura, motivandola come un adeguamento di tassazione delle rendite finanziarie; evidentemente il Governo non comprende bene la differenza tra strumenti finanziari e fondi previdenziali, confondendo gli obiettivi dei fondi previdenziali (fornire una previdenza complementare) con gli strumenti finanziari (che possono essere utilizzati per raggiungere tali obiettivi).

Ma le noti dolenti non sono terminate in quanto il TFR in busta paga può generare degli impatti economici per le aziende, nei confronti di queste il Governo si è impegnato a garantire un accesso al credito a zero costi per le imprese, stanziando una somma di 100 milioni, che sembrerebbe a prima vista incapiente.
Ancora di difficile valutazione, invece, resta al momento l’impatto sul bilancio INPS.

Infine curiosa, seppur prevedibile, l’esclusione dei dipendenti pubblici dalla scelta del TFR in busta paga; evidentemente il Governo, chiamato questa volta a guardare nel proprio portamonete, ha valutato l’impatto sulle voci di bilancio destinate al pagamento degli stipendi e ha soprasseduto.

Ancora una volta ci troviamo di fronte alla pessima abitudine dello Stato italiano di legiferare regole che valgono per tutti, ma che non valgono per se stesso. E il pensiero corre subito al Marchese del Grillo: “me dispiace, ma io so’ io e voi…”


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