di Michele Marsonet. Anche se ai golpe militari thailandesi siamo ormai abituati, chi ha avuto modo di visitare questo splendido Paese non può fare a meno di provare un disagio profondo rammentando le immagini viste e la presenza pervasiva della simbologia buddhista in ogni strada di Bangkok e di altre città.
Il buddhismo – come tutti sanno – è la religione non violenta per eccellenza. Esorta a distaccarsi dagli eventi del mondo, a meditare sulla caducità di ogni cosa che ci circonda, a trascurare l’esteriorità concentrando l’attenzione sulla nostra dimensione interiore e più insondabile. Non solo. Ben prima dei Greci, i filosofi buddhisti avevano “scoperto” la fondamentale distinzione tra apparenza e realtà.
E, contrariamente a quanto ritiene il senso comune, l’apparenza è proprio il mondo esterno che è solo illusione, mentre la realtà “vera” si trova all’interno di noi. Per raggiungerla occorre una grande disciplina, basata su esercizi assai complicati per la mentalità occidentale. Tuttavia tale disciplina, se praticata con costanza e pazienza, è in grado di condurci all’illuminazione che il fondatore aveva raggiunto al massimo grado. Questa la strada per conseguire la pace dell’anima, premessa indispensabile per superare violenza e conflitti che caratterizzano da sempre il mondo come noi lo vediamo.
Agli occhi intesi come organi di senso bisogna dunque sostituire l’occhio interiore, in grado di appurare l’illusorietà di oggetti ed eventi che, apparentemente, costituiscono l’ossatura della realtà.
Il richiamo a questi concetti, in Thailandia, è costante. A ogni angolo di strada si trovano pagode che all’interno contengono file interminabili di Buddha dorati. Impressionante è l’enorme Buddha sdraiato (Wat Pho) in un tempio al centro della capitale. Le sue dimensioni sono tali che occorre parecchio tempo per arrivare dalla testa ai piedi, anche se la visione è sempre parziale proprio a causa della grandiosità della statua.
Se poi si percorre in barca il grande fiume Chao Phraya che divide Bangkok in due parti, e spesso esonda spazzando via le misere baracche in cui vive la parte più povera (e numerosa) della popolazione, è frequente vedere sulla riva altre grandi statue dorate del Buddha sempre ritratto in posa ieratica.
Ora l’ennesimo golpe dei militari ci riporta però a una realtà molto più simile a quella del senso comune, la quale con anima e meditazione ha ben poco a che fare. Già, perché la storia Thai, come la storia di ogni altra nazione, è segnata da conflitti e violenze senza fine, e dalla lotta a volte feroce tra fazioni politiche contrapposte. Il sorriso del Buddha resta sullo sfondo, qualcosa di lontano e irraggiungibile.
Stesso discorso nell’altro grande Paese buddhista confinante. La Birmania – ora chiamata Myanmar – è reduce da una lunga e feroce dittatura militare e solo adesso comincia ad aprirsi all’esterno. In quel contesto il lungo isolamento ha fatto sì che l’influenza della religione sia ancora maggiore.
E’ tuttavia importante notare che tanto in Birmania quanto in Thailandia sono in atto dure repressioni nei confronti delle minoranze islamiche presenti in entrambe le nazioni. Qualcuno potrebbe notare – malignamente – che gli islamici in fondo se lo meritano visto che, dove sono maggioranza, perseguitano senza remore i seguaci di altre fedi. Ma, agendo in questo modo, lo spirito buddhista viene tradito.
L’ultimo golpe thailandese e gli altri avvenimenti dianzi menzionati ci rammentano, in conclusione, che il distacco dalla realtà di ogni giorno è più facile in teoria che nella pratica. O, meglio ancora, ci fa capire che tale distacco può essere praticato con successo solo da pochi illuminati. La gente comune è condannata a vivere in un mondo in cui la violenza continua a imperare.
Featured image, Immagine di Eisai (1141-1215), tradizionale fondatore dello Zen Rinzai.