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Ho sempre amato i super-gruppi. Ho sempre amato assistere a individialità di certa consistenza e certo peso che si incontrano/si scontrano su un campo comune facendo quello che sanno fare meglio. E' un'esperienza che ho sempre trovato interessante, per certi versi esaltante. Quindi immaginerete bene come mi sia sentito dopo aver letto di questo progetto che vede tutte insieme alcune tra le individualità più promettenti o affermate del panorama new-horror mondiale. E immaginerete sicuramente la mia emozione nello spingere il tasto play al momento della visione.
The ABCs of Death è una video-antologia ma anche una maratona horror di 26 cortometraggi fuori di testa. L'ABC della morte, le basi di un genere e la summa di (quasi) tutto il cinema indipendente mondiale racchiuso in 124 minuti divisi in 26 capitoli: ogni capitolo una lettera dell'alfabeto, ogni lettera affidata a un regista che ne ha fatto quel che voleva, senza limiti o paletti. L'unico filo conduttore è la lettera stessa e il finale, che come potrete ben immaginare deve avere a che fare con la morte. Insomma, 26 modi diversi di morire in più o meno quattro minuti a corto. Ce n'è di roba, ce ne sarebbe da parlare per ore.
The ABCs of Death è un trip allucinante/allucinato che si dilata e dilata la percezione colpendo contemporaneamente mente, cuore e stomaco dello spettatore. E alla fine lascia sfiniti. Non c'è un attimo di pausa, non uno di relax, questo progetto è un labirinto eterogeneo fatto di sangue, frattaglie e scene al limite dell'insostenibile con una leggera spruzzata di ironia qua e là.
Alla base di tutto due loschi figuri, Ant Timpson e Tim League della Magnolia Pictures, casa di produzione che ha tirato fuori dal cassetto, negli ultimi anni, opere di una certa elevatura nel genere, come The Host e Lasciami Entrare passando per Severance. Due persone che hanno avuto l'idea e l'impegno di arruolare registi più o meno conosciuti nell'ambiente underground e di dar vita a questo vero e proprio manifesto epocale e generazionale. E la cosa funziona persino, se pur con qualche intoppo.
Il fatto è che quattro minuti sono veramente pochi. In quattro minuti non hai il tempo per costruire l'atmosfera, né tanto meno la psicologia dei personaggi. In quattro minuti (più o meno) hai solo il tempo di colpire prima di uscire di scena e se vuoi essere ricordato devi farlo forte e chiaro.
Ogni regista ha scelto la tecnica e lo stile neccessario: animazione, stop-motion, mockumentary, tradizionale. Si passa dal weird al torture porn, dalla fantascienza al giallo allo psichedelico con talmente tanta disinvoltura da rischiare le vertigini. Una mancanza di omogeneità scandita da un ritmo claustrofobico difficile da sostenere per due ore consecutive, soprattutto perchè qui l'unica costante è la rappresentazione scenica di forte impatto e violenza inaudita. Ad esempio, un corto come L is for Libido di Timo Tjahjanto è di per se talmente forte e crudele da lasciare sconvolti per settimane dopo la visione. Se però, di seguito, ci metti una mazzata sulla nuca come quella data da Ti West col suo M is for Miscarriage, le possibilità di sopravvivenza si abbassano ulteriormente. Si tratta di roba talmente pesante da buttar giù l'appassionato più accanito. Si tratta del francese Xavier Gens che con X is for XXL ti costringe a chiudere gli occhi per l'orrore o del canadese Kaare Andrews che stacca la testa ad un neonato telepatico nel futuristico V is for Vagitus. Si tratta di alcuni dei punti più alti della "raccolta", assieme a A is for Apocalypse dello spagnolo Nacho Vigalondo (un'inedita e splatterosa lettura apocalittica) e E is for Exterminate dell'angelo macchiato di sangue Angela Bettis. Veri e propri gioiellini.
Si tratta di cinema horror multietnico. Giappone, Australia, Europa, Sud, Centro e Nord America, Thailandia. Si tratta di tanti registi, persino troppi. E in tanta sovrabbondanza alla fine qualche nota stonata ci doveva pur essere, è fisiologico. Ho elencato quelli che secondo me sono i corti più riusciti (ce ne sarebbe anche un altro paio, ad esempio a me è piaciuto tanto l'exploitation S is for Speed dell'inglese Jake West) ma non tutto è oro quello che luccica, quindi a ristabilire l'equilibrio ci pensano i tre Giapponesi, estremi fino a travalicare il buon gusto. Del resto incentrare un corto sulle scorregge (F is for Fart) è sì coraggioso ma anche abbastanza inutile e le ossessioni culinario/sessuali di Yoshihiro Nishimura (Z is for Zetsumetsu) fanno venir voglia di spegnere il video con qualche minuto di anticipo. Meno ma non da meno sono il norvegese Thomas Malling con la sua inutile e stupida lettera H, il duo Bruno Forzani/Héléne Cattet che non si capisce cosa cerchino con il loro leccato O is for Orgasm, fino ad arrivare alla lettera Q gestita in maniera maldestra da Adam Wingard e Simon Barrett. Ma fare una disamina che vada di film in film sarebbe assolutamente impossibile, nonché abbastanza inutile.
La cosa importante è che The ABCs of Death è un'operazione clamorosa, ancor di più del suo antenato televisivo Masters of Horror (o del più recente V/H/S). Un prodotto a basso costo - si parla di 5 mila dollari a corto - talmente variegato da riuscire ad accontentare quasi tutti i palati o a scontentarli in egual maniera. Non per tutti, di nicchia come sembra confermare la sua stessa natura di VOD (Video On Domand). Eppure l'ennesima occasione (sprecata o no decidetelo voi) per gridare al mondo che il cinema di genere non è morto, che gli piaccia oppure no.
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