La vergogna di un popolo
1965. In Indonesia avviene un colpo di Stato perpetrato da un gruppo di paramilitari e gangster di piccola e media tacca. Coloro che hanno attuato atrocità e torture nei confronti di un milione di “comunisti” oggi sono gli uomini più importanti del paese e ricoprono cariche di spicco. Perché, come dichiara uno dei delinquenti, i crimini di guerra vengono definiti dai vincitori e lui è un vincitore.
Anwar Congo e Herman Koto raccontano il colpo di Stato e lo sterminio di un milione di apparenti comunisti. E lo fanno attraverso la ricreazione delle scene di sangue (interpretando carnefici e vittime, e proprio questa scelta è la chiave di volta), adattate ai generi cinematografici preferiti, ovvero western, musical e gangster movie.
Oppenheimer documenta e sconvolge. La sua macchina da presa evita di commentare e lascia fluire le immagini e le dichiarazioni. Perché la realizzazione di The Act of Killing si discosta dalla classica (e ammirata) modalità di costruzione di un documentario. Il regista spiazza lo spettatore, lo coinvolge in un turbinio di follia, di insana crudeltà, di indegna autocelebrazione. I protagonisti (anima, sorrisi e convinzioni) sono principalmente Anwar Congo (carnefice del 1965) e Herman Koto (gangster e leader del gruppo paramilitare), disposti a raccontarsi in tutta la loro oscena sincerità. Non si rendono conto di quello che hanno commesso, dei delitti che hanno perpetrato, delle atrocità che hanno permesso loro di essere personaggi di spicco in Indonesia. È tutto accettato in favore della realizzazione di un memorandum cinematografico, una celebrazione di quelle gesta folli, con cui non hanno mai dovuto fare i conti. Ed è proprio questo l’obiettivo di Oppenheimer: effettuare un documentario in cui le contraddizioni e la consapevolezza siano un tutt’uno, strumenti d’indagine di un percorso catartico, che faccia comprendere le atrocità commesse facendo parlare solo le immagini. The Act of Killing è un manifesto celebrativo alla rovescia, che fa sorgere dubbi ai protagonisti, che sviscera la loro totale inconsapevolezza, che ne ridicolizza la loro ignoranza.
Facendo i conti con una percezione distorta dei fatti, i protagonisti della vicenda cominciano a cedere, a porsi delle domande, a non sopportare il peso di loro stessi. Si guardano nello schermo televisivo (nei ruoli delle vittime) e cominciano a percepire cosa realmente sia accaduto. È questa la scelta azzeccata di un documentario che indigna e sconvolge, un esempio di cinema-verità imponente, che narra gesta di “eroi” dall’atteggiamento crudele e intimidatorio. The Act of Killing è un prodotto che oltrepassa l’anticonvenzionalità, che si fa portatore sano di un ribaltamento storico, di un’ammissione di colpa da parte del governo indonesiano cinquant’anni dopo. Un cinema che si fa comprendere ed è messaggero di barbarie mai accettate e colpevolizzate. Un brillante film nel quale si assapora l’orrore, la banalità del male e una visione distorta della realtà e della storia. Fino a quando la paura non attanaglia le membra di Anwar Congo e lo rende (forse) un pizzico umano.
Uscita al cinema: 17 ottobre 2013
Voto: ****