Mi dispiace tornare dopo giorni, forse mesi, di assenza dalle pagine di questo blog con delle cattive notizie da darvi, ma purtroppo le circostanze mi impongono di farlo. Perché The Amazing Spider-Man 2, cari lettori, è brutto, ma proprio brutto, ma non quel brutto da dire "eh, è così", bensì quel brutto da dire "che peccato che sia così". Certo, i pregiudizi c'erano tutti, da parte mia, ma mai avrei pensato che Marc Webb calpestasse così prepotentemente la sua (esile, incostante, povera, debole e ancora acerba) poetica romantica che tanto ci piaceva in quel bellissimo (500) giorni insieme per offrire invece trovate di regia a dir poco discutibili. Si inizia con una mal girata sequenza di combattimento in un aereo per poi passare ad una debolissima scena di caos cittadino in cui morti e feriti sono molti di più rispetto alle persone salvate dall'amichevole eroe di quartiere, e via così fino all'ultima, ridicola scena che vede la comparsa di Rhyno. O Rhino. Paul Giamatti, insomma, un attore meraviglioso rinchiuso in un camion per tre minuti e poi in una corazza da rinoceronte per altri tre minuti. Mai un primo piano, mai una parvenza di scrittura del personaggio, nulla di tutto questo. Se almeno gli altri due villain colmassero questa lacuna, invece niente: Jamie Foxx sprecatissimo nel ruolo di un Electro che più piatto non si può, a metà strada tra l'Enigmista di Batman Forever e il megalomane Doctor Doom de I fantastici quattro. Abbiamo poi Dane DeHaan che interpreta Harry Osborn aka il Green Goblin: cinque minuti di volo, qualche sprazzo di egoismo e finisce lì. Forse l'egoismo è il risentimento è ciò che lega questi due villain (perché Rhyno, o Rhino... Paul Giamatti, insomma, non va contato, causa la sua poca presenza in scena), ma non c'è morale, non c'è insegnamento, non c'è nulla che possa educare le generazioni a cui è rivolto questo film ad essere altruisti e non egoisti. Si insegna invece a rompere cose, spaccare calcolatrici e dare calci nei muri, che tanto qualcosa di buono si ottiene sempre (più di una volta Peter rompendo oggetti scopre misteriosi segreti celati nel suo passato). Un discorso a parte va fatto sulla storia d'amore: potenzialmente ottima e piena di momenti indimenticabili, se non fosse per Marc Webb che la farcisce di stupidaggini adolescenziali alla Federico Moccia (e qui cito per necessità la ragnatela che assomiglia ad una mano nel momento catartico della torre dell'orologio e anche la romantica scritta fatta con le ragnatele sul ponte; il patetico che sovrasta il romanticismo è sempre dietro l'angolo). Tutte queste trovate pseudo-romantiche non fanno altro che appesantire e rendere ridicoli tutti i momenti d'amore per i quali non bastava altro che sfruttare l'alchimia che Andrew Garfield ed Emma Stone riescono a ricreare sullo schermo (bellissima la sequenza "possiamo essere solo amici"). Avrete notato che ho citato più volte scene singole e momenti ben specifici, ma l'ho fatto per un semplicissimo motivo: il film non è altro che un insieme di situazioni che si appiccicano tra di loro grazie ad una parvenza di trama che in realtà non esiste; sono attimi di vita, parentesi quotidiane raccontate dalla mano di un regista che probabilmente avrebbe dovuto fare un pochino più di gavetta nel mondo del cinema indipendente prima di cimentarsi con dei prodotti così complessi dal punto di vista produttivo.
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Mi dispiace tornare dopo giorni, forse mesi, di assenza dalle pagine di questo blog con delle cattive notizie da darvi, ma purtroppo le circostanze mi impongono di farlo. Perché The Amazing Spider-Man 2, cari lettori, è brutto, ma proprio brutto, ma non quel brutto da dire "eh, è così", bensì quel brutto da dire "che peccato che sia così". Certo, i pregiudizi c'erano tutti, da parte mia, ma mai avrei pensato che Marc Webb calpestasse così prepotentemente la sua (esile, incostante, povera, debole e ancora acerba) poetica romantica che tanto ci piaceva in quel bellissimo (500) giorni insieme per offrire invece trovate di regia a dir poco discutibili. Si inizia con una mal girata sequenza di combattimento in un aereo per poi passare ad una debolissima scena di caos cittadino in cui morti e feriti sono molti di più rispetto alle persone salvate dall'amichevole eroe di quartiere, e via così fino all'ultima, ridicola scena che vede la comparsa di Rhyno. O Rhino. Paul Giamatti, insomma, un attore meraviglioso rinchiuso in un camion per tre minuti e poi in una corazza da rinoceronte per altri tre minuti. Mai un primo piano, mai una parvenza di scrittura del personaggio, nulla di tutto questo. Se almeno gli altri due villain colmassero questa lacuna, invece niente: Jamie Foxx sprecatissimo nel ruolo di un Electro che più piatto non si può, a metà strada tra l'Enigmista di Batman Forever e il megalomane Doctor Doom de I fantastici quattro. Abbiamo poi Dane DeHaan che interpreta Harry Osborn aka il Green Goblin: cinque minuti di volo, qualche sprazzo di egoismo e finisce lì. Forse l'egoismo è il risentimento è ciò che lega questi due villain (perché Rhyno, o Rhino... Paul Giamatti, insomma, non va contato, causa la sua poca presenza in scena), ma non c'è morale, non c'è insegnamento, non c'è nulla che possa educare le generazioni a cui è rivolto questo film ad essere altruisti e non egoisti. Si insegna invece a rompere cose, spaccare calcolatrici e dare calci nei muri, che tanto qualcosa di buono si ottiene sempre (più di una volta Peter rompendo oggetti scopre misteriosi segreti celati nel suo passato). Un discorso a parte va fatto sulla storia d'amore: potenzialmente ottima e piena di momenti indimenticabili, se non fosse per Marc Webb che la farcisce di stupidaggini adolescenziali alla Federico Moccia (e qui cito per necessità la ragnatela che assomiglia ad una mano nel momento catartico della torre dell'orologio e anche la romantica scritta fatta con le ragnatele sul ponte; il patetico che sovrasta il romanticismo è sempre dietro l'angolo). Tutte queste trovate pseudo-romantiche non fanno altro che appesantire e rendere ridicoli tutti i momenti d'amore per i quali non bastava altro che sfruttare l'alchimia che Andrew Garfield ed Emma Stone riescono a ricreare sullo schermo (bellissima la sequenza "possiamo essere solo amici"). Avrete notato che ho citato più volte scene singole e momenti ben specifici, ma l'ho fatto per un semplicissimo motivo: il film non è altro che un insieme di situazioni che si appiccicano tra di loro grazie ad una parvenza di trama che in realtà non esiste; sono attimi di vita, parentesi quotidiane raccontate dalla mano di un regista che probabilmente avrebbe dovuto fare un pochino più di gavetta nel mondo del cinema indipendente prima di cimentarsi con dei prodotti così complessi dal punto di vista produttivo.
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