Magazine Cinema
di Alex Gibney (USA, 2013)
con Lance Armstrong
durata: 122 min.
★★★★☆
Nel ciclismo di oggi può anche accadere che un carneade di 42 anni, mai vittorioso in passato, si metta a correre in salita più forte delle moto e trionfi alla Vuelta. E che lo stesso signore, per giunta, dribbli abilmente il controllo antidoping facendo perdere più o meno regolarmente le sue tracce e fugga sul primo aereo per gli Stati Uniti... giusto per rimanere nell'attualità. Per carità, è ovvio che fino a prova contraria il signor Chris Horner è a tutti gli effetti il vincitore della corsa spagnola: ma sfido chiunque di voi, senza ipocrisia, a farsi avanti se davvero non nutre alcun sospetto su questa 'impresa tardiva'. Chiamiamola così.
E questo mondo, che ormai non viene preso sul serio più da nessuno, lo conosce fin troppo bene Lance Armstrong, campione prima sulla strada, poi nelle aule di tribunale, da ultimo solo di faccia tosta. Il texano dagli occhi di ghiaccio, che un tempo guardava gli avversari dall'alto in basso stagliandosi come un gigante in mezzo al gruppo e costruendosi un'aura da intoccabile, è diventato l'emblema di una società senza scrupoli che non guarda in faccia a nessuno e che, incredibilmente, ostenta perfino orgoglio per il suo operato. Senza alcuna ombra di pentimento nè rimorso.
Di questo parla The Armstrong Lie, splendido documentario passato fuori concorso all'ultima Mostra di Venezia e che purtroppo ben difficilmente vedremo nelle nostre sale (finora nessuno ne ha comprato i diritti): è il ritratto agghiacciante e terribilmente cinico di un uomo che per quasi vent'anni ha ingannato colleghi, tifosi e semplici spettatori di mezzo mondo con pratiche scriteriate e illegali, paludandosi perfino come esempio per i giovani. Il regista dell'operazione è tale Alex Gibney, documentarista americano (come Armstrong) che, incaricato in un primo momento di realizzare su commissione un film antologico sulle imprese dell'ex-campione (progetto risalente a cinque anni fa, quando il mondo era ancora all'oscuro della bufera che si sarebbe scatenata su di lui, e poi ovviamente abortito) ha deciso di girare comunque un film su Armstrong. Sul vero Armstrong, il reo confesso, il baro, l'ex idolo delle folle colto con le mani nella marmellata... il quale (incredibilmente!) ha accettato di concedere una nuova intervista a Gibney per raccontare il suo punto di vista.
Ed è qui che Gibney ha realizzato il suo capolavoro, andando a rispolverare l'intervista di cinque anni prima (fortunatamente non cestinata!) e mettendola beffardamente a confronto con quella attuale, quasi come un'intervista doppia de Le Iene... e si rimane davvero allibiti dalla faccia tosta e la freddezza con cui l'Armstrong ancora 'pulito' del 2008 decantava le sue imprese giustificandole addirittura come 'un regalo divino' e come risarcimento di tante fatiche e sacrifici. L'Armstrong attuale invece non può far altro che difendersi nell'unico modo possibile, vale a dire attaccando tutto il sistema e sostenendo sdegnosamente che lui faceva semplicemente 'quello che tutti facevano'. Il che, intendiamoci, probabilmente è verissimo ma non è certo una giustificazione!
Questo è l'aspetto più significativo (e tragico) del film: Armstrong non mostra, appunto, nessun pentimento per le sue bugie. Anzi, ne va quasi fiero e risponde colpo su colpo all'intervistatore, facendo leva sul suo orgoglio (orgoglio?) di ex-idolo delle folle che si sente comunque ancora il più forte, a dispetto di tutto. Armstrong è scaltro e sicuro di sè, e certe riprese fanno davvero accapponare la pelle per la loro falsità e sfrontatezza (la visita in ospedale ai bimbi ammalati di cancro). Armstrong che si sente come un semplice ingranaggio di un sistema (non solo ciclistico e non solo sportivo) marcio fino al midollo e dove trionfano non i più onesti ma i più furbi, quelli che riescono a non farsi beccare e farsi beffe del prossimo.
Un concetto che, purtroppo, non ritroviamo solo nello sport.
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