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The Artist di Michel Hazanavicius. Talking faces

Creato il 13 gennaio 2012 da Spaceoddity
The Artist di Michel Hazanavicius. Talking faces
George Valentin è una star del film muto, è un vero artista, capace di fare di uno spettacolo moderno e scanzonato, pieno di umorismo e sentimento. È bellissimo e ha una schiera di fans pronte a tutto per stargli vicino, sempre pronto com'è a sfoderare quel meraviglioso sorriso da poster o da pubblicità. Una tra le tante, però, frantuma le barriere tra il divo e il suo pubblico: si chiama Peppy Miller, è spavalda e splendida, e presto lo affiancherà nei suoi film in una folgorante carriera, fino a surclassarlo quando passa al sonoro. Da lì in poi sarà lei la star, a invadere i primi piani delle locandine, con il suo neo finto e una buona dose di divismo, ma senza dimenticare il ponte per il suo successo, anche quando questo legame ha perso in autorità e visibilità.
The Artist (2011) di Michel Hazanavicius è uno splendido film muto dei giorni nostri. Per raccontare un'epoca di trapasso: dalla crescita spumosa, infervorata e calamitante del primo trentennio del Novecento, nel trapasso di un sistema che non regge e crolla - o viene fatto crollare - fino al bivio tra mondo che parla e mondo che tace. Il passaggio dal muto al sonoro, così osteggiato dall'icona di un mondo di cartone, quasi marionettistico, vissuto con quella geniale e amabile cialtroneria dei mattatori su larga scala, si rivela lo spaccato di uno spettacolo che passa dalla multimedialità (la visione della pellicola, il sonoro dell'orchestra, la presenza in sala di una folla curiosa e appassionata) a un sincretismo del prodotto finito. Il cinema per gli spettatori non è più quell'evento disperso in sala, nelle sue manifestazioni attanziali, diventa un prodotto simil-wagneriano di opera d'arte totale, che polarizza l'attenzione verso un golfo mistico piuttosto pagano di divi del varietà.
Il film perde quell'aura di cooperazione, di pluralità accentrata sulla star del momento: diventa fonte di un'ipnosi collettiva, invertendo i canali: i molti sono ammassati dall'altra parte dello schermo, intenti a guardare e ascoltare le vicende e le parole di persone di una società nuova e diversa. The Artist è un film da gustare con calma e con passione: richiede uno sguardo disincantato, ma disposto ad abbandonarsi all'ironia costante, al suo bilancino emotivo calibrato alla perfezione. Michel Hazanavicius è straordianrio a renderlo un saggio sul nostro modo di vedere i film oggi: non potresti mai scambiarlo per un film degli anni Trenta, pose e comportamenti sono di una modernità schiacciante e certe idee, le carrellate, le inquadrature, la recitazione superba dei tre protagonisti (Jean DujardinBérénice Bejo, compagna del regista, e last but not least il cagnolino Uggie) sono un omaggio alla storia del cinema che arriva fino allo spettatore.
The Artist di Michel Hazanavicius. Talking facesC'è tutto, oltre alle comiche, allo sguardo irresistibile di Greta Garbo, alla polvere magica del palcoscenico. Almeno un paio di scene (e in particolare l'incubo assordante di George Valentin) hanno la forza di evocare Bergman e Welles, e insomma: una storia che travalica il mondo su cui si sofferma. Purtroppo non ho la cultura cinematografica per individuare le citazioni palesi di Hazanavicius, ma proprio questo rende The Artist un film indimenticabile, lo si può godere per quello che è, senza troppo filologismo o dottrinari indovinelli. È una riserva di sorprese e di ricordi da condividere con altri amanti del cinema. Hazanavicius propone il cinema non dalla parte di chi lo fa (meravigliosa la scritta che impone di tacere dietro lo schermo dove veniva proiettato il film), ma dalla parte del suo farsi. Può non convincere, ma commuove e fa anche riflettere. E, va da sé, è assolutamente incantevole.

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