Magazine Cultura

The Atticus Institute, di Chris Sparling (2015)

Creato il 01 agosto 2015 da Psichetechne
The Atticus Institute, di Chris Sparling (2015)
Nell'autunno del 1976, un piccolo laboratorio di psicologia in Pennsylvania divenne la sede inconsapevole per l'unico caso di possessione demoniaca confermato dal governo degli Stati Uniti. L'esercito Usa assume presto il controllo del laboratorio agli ordini della Sicurezza Nazionale e, poco dopo, attua misure drastiche con l'intento di trasformare  in arma militare l'entità incontrollabile che si trova di fronte. I dettagli degli eventi inspiegabili che si sono verificati sono stati resi pubblici soltanto anni dopo,  rimanendo segreti per quasi quarant'anni...

"The Atticus Institute" di Chris Sparling (writer di Buried, 2010), è un piccolo found-footage che si avvale deliberatamente di una modalità documerntaristica di ripresa allo scopo di raccontare una storia che vuole porsi come originale relativamente al filone mocku. Per giungere a questo non facile obiettivo, Sparling alterna immagini di interviste televisive a superstiti e testimoni della vicenda, a filmati appunto found-footage risalenti agli anni '70. Il montaggio di Sam Bauer è ben lavorato, non annoia e consente di seguire in modo piuttosto coinvolgente una storia che di per sè non è nulla di veramente nuovo: siamo infatti nel risaputo territorio della possessione demoniaca, per di più con una Rya Kihlstedt che almeno nella prima parte del film assomiglia maledettamente alla Mia Farrow di "Rosemary's Baby".

Sappiamo bene che il tema della possession è molto di moda all'interno dell'attuale corrente horror mainstream, e da questo punto di vista questo film non si discosta da un simile trend che probabilmente va incontro ai gusti del grande pubblico contemporaneo, e per motivi che poi andrebbero tutti studiati con attenzione. Per sovramercato "The Atticus Institute" è prodotto dagli stessi produttori di "The Conjuring" e "Annabelle" (rispettivamente di Wan, 2013 e di Leonetti, 2014), opere che non potremmo sicuramente definire pietre miliari del nostro genere preferito, anzi potremmo dirne piuttosto tutto il contrario. Dico questo perché il film di cui stiamo parlando si aggira in un ambiente scivolosissimo nel quale temi, contenuti, ispirazione e produzione sembrerebbero tutti orientati a costruire una bella trappola per un regista alle prime armi come Sparling. 

La trappola consumistica in parte scatta, e il regista vi cade come una volpe nella tagliola, in parte tuttavia la volpe riesce a sfuggire e a dileguarsi nei boschi, e noi siamo contenti per lei. Intendo dire che per essere al suo primo, vero lungometraggio perturbante, Sparling riesce a fare molte più cose di quanto ci saremmo aspettati, e questo è già buono. Certo, con i produttori che ha addosso, non poteva forse fare di più, ma intanto il regista riesce con maestria a produrre una ricostruzione di filmati d'epoca non da poco, facendo un'opera di casting poi notevole. Sia i personaggi odierni che quelli del 1975-1976 mi sono infatti sembrati assai pregnanti e fedeli (io in quegli anni facevo le scuole medie, e vi assicuro che ci si vestiva come nel film - ho ancora alcune foto di classe che lo testimoniano). Sparling conduce uno studio sull'epoca che riproduce degna di uno storiografo e di questo sforzo gli va dato atto, compresa la ricostruzione fedele degli strumenti di un laboratorio di Psicologia Sperimentale (anche quello ho visto all'opera dal vivo, mentre frequentavo la facoltà di Psicologia, a Padova, negli anni '80, e vi assicuro che era proprio come nel film). 

Il positivo (molto positivo) di questo film sta proprio in questa ricostruzione ottimamente elaborata e dettagliata di quegli anni. Altro elemento non secondario è il clima da guerra fredda che la pellicola è capace di rievocare, con la bizzarra inserzione, nel plot, delle forze armate e dei funzionari del governo americano, nonchè dei mezzi terroristici e talebani che utilizzavano (e tuttora è facile pensare utilizzino...) per torturare la povera Judith: non è facilissimo trovare in un film di genere Perturbante, l'occasione di una critica storica di vicende che hanno riguardato lo stile politically uncorrect utilizzato dai governi statunitensi in un passato neanche tanto lontano. 

Anche l'intreccio, sul piano dello script, del tema possessione con quello storico-politico è un'idea che ho trovato molto interessante, raffinata direi quasi, per certi versi innovativa. Intrecciare ulteriormente questi due filoni all'interno di una cornice mocku, ecco questo è forse l'errore più grosso in cui cade Sparling.

La corsa verso un vero, puro "realismo" diventa in questo film un peso inutile se non dannoso. Siamo infatti più interessati alla storia in sè, ai rapporti di forza tra un sovrannaturale che non si fa impacchettare in protocolli di stato o in setting scientifici precostituiti da una parte, e dall'altra una miopia politica che non può che essere miope. Sparling avrebbe certamente dovuto (e potuto) lavorare meglio questi elementi della scrittura filmica, tralasciando invece la pretesa del "ritrovamento" a tutti i costi di reperti storici. Tale pretesa va infatti a detrimento della sceneggiatura medesima, vedi ad esempio l'inspiegabile e mal gestito salto logico del filmino del compleanno del nipote del giovane collaboratore del Dr. West. Da dove viene quel filmino? Come si collega al resto del girato d'epoca, che è invece il frutto di registrazioni scientifiche, da laboratorio? 

Sparling nel suo film prova a gettare nuovo ossigeno nel sottogenere possession, e a tratti l'ossigeno sembra arrivare, ma questa nuova aria fresca è presto soffocata dall'afa di un iper realismo mockumentaristico portato avanti con un manierismo a volte anche un pò supponente. La possessione stessa infatti sembra passare in secondo piano, fino a diventare una sorta di caricatura di se stessa, e la protagonista medesima della possessione si perde come personaggio all'interno di tale manierismo storico-ricostruttivista. Stessa sorta toccherà anche al secondo protagonista simmetrico della storia, il Dr. West.

"The Atticus Institute" è dunque una buona prova per un regista al suo primo esperimento, ed è quindi da vedere e valutare positivamente, avendo tuttavia ben presenti tutti i suoi limiti. 


Regia: Chris Sparling    Soggetto e Sceneggiatura:  Chris Sparling  Fotografia: Alex Vendler    Montaggio: Sam Bauer    Musiche: Victor Reyes    Cast: William Mapother, Rya Kihlstedt, Julian Acosta, Carlos E. Campos, Jake Carpenter, Hanna Cowley, Aaron Craven, Suzanne Jamieson, Rob Kerkovich, Lauren Rubin, Bill J. Stevens, John Rubinstein    Nazione: USA    Produzione: Unversal, TSC   Durata:  92 min.  


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :