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La chiusura di un ciclo ed insieme il manifesto di un nuovo inzio. Così potrebbe definirsi l’ultimo film della Marvel, prodotto mediatico e di marketing in grado di offrire in un'unica soluzione molti dei supereroi già titolari di un film a loro dedicato. Le ragioni di questa affermazione si devono rintracciare nella natura derivativa di “The Avengers” anticipato dalle brevi sequenze che dopo i titoli di coda facevano da appendice alla singole pellicole con la chiamata alle armi da parte di Nick Fury impegnato a reclutare l’invincibile squadra e destinate a prendere forma in questo atto finale, ovvero il film diretto da Joss Whedon. E poi cosa più importante nella presenza di una poetica che mette in secondo piano i dilemmi e le nevrosi conseguenti al mascheramento dell’identità. Se infatti fuori dal mondo Marvel la possibilità di un altergo è vissuta come fattore scatenante di una malattia esistenziale (Batman, Watchmen)che fa male e rende soli, così non succede nella casa delle idee dove i super poteri si rivelano senza la necessità di nascondere il volto di chi li possiede, con dichiarazioni pubbliche (Iron Man) clamorose esclusioni – nella saga di Thor la controparte viene addirittura cancellata – e pacifiche alleanze, come accade in “The Avengers” con la Vedova Nera, Capitan America per nulla preoccupati di confondere le acque a proposito della loro verà identità. Una semplificazione sul piano estetico in direzione di una normalizzazione del prodotto che rende "The Avengers" più adatto al “bagno di sensazioni” – visive ed uditive – del cinema (blockbuster) dominato da effetti speciali e riprese ipercinetiche, ma che allo stesso tempo assottiglia lo spazio delegato alla costruzione del quadro psicologico ed emotivo, sostituito in questo caso da rapporti di causa effetto quasi sempre basati sul confronto della forza. “The Avengers” in questo senso rappresenta il trionfo di questa tendenza con i supereroi messi insieme da Fury, il capo plenipotenziario dell’organizzazione governativa che cerca di salvare il mondo, tanto propensi ad utilizzare i loro corpi iperdotati quanto minimali nell’utilizzo delle risorse interiori. Per constatarlo basterebbe riflettere sulla centralità di un personaggio come Hulk, montagna di carne e macchina da guerra pronto a scatenarsi contro tutto e tutti e per questo motivo conteso da buoni e cattivi nel tentativo di avvantaggiarsi del suo talento, oppure soffermarsi sulla supremazia di sentimenti come quello della vendetta, il leiv motiv di tanto cinema americano ed anche qui determinante per mettere d’accordo personalità dominate da un ego smisurato ed incapaci di dominare i propri istinti.
Un linguaggio semplice e diretto che parlando di una gruppo di persone incaricate di salvare la terra trasla sul piano dello spettacolo e dell’intrattenimento l’idea di una nazione che concepisce se stessa in chiave democratica e salvifica. Da questo punto di vista non bisogna allora stupirsi del consenso nei confronti di un prodotto che vende la violenza e la guerra come forma di supremo eroismo, che si confronta con il mito di Prometeo uscendone vincente. Se poi vogliamo tornare al cinema c’è da rimpiangere gli ultimi prodotti della Marvel, parliamo di “X- Men: l’inizio” e di “Capitan America” dove la ricostruzione storica serviva anche a sviluppare la costruzione dei personaggi. Qui a vincere è soprattutto la capacità promozionale ed una gestione delle risorse che la Marvel è riuscita ad ottimizzare con il minimo sforzo e con il massimo dei ricavi. Intanto nuovi episodi di “The Avengers” sono già pronti per essere prodotti
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