Scritto e diretto da Joss Whedon, più noto come sceneggiatore, soprattutto televisivo (la serie Buffy), qui alla sua seconda regia (l’esordio nel 2004, Serenity), The Avengers è un film che si sostanzia, nel bene e nel male, come un classico esempio di comic movie. Suoi cardini principali sono il distacco dal realismo propriamente detto e la spettacolarità, quest’ultima mai fine a se stessa, che vanno di pari passo con bilanciate dosi d’ironia e grezzo tratteggio psicologico dei vari personaggi, senza alcuna intenzione di allontanarsi dal puro e semplice intrattenimento.
La poliedricità pop di Whedon, anche fumettista, infatti, visualizza lo script, nella sua composizione essenziale, almeno questa è stata la mia impressione, proprio come un albo a fumetti, traendo linfa vitale tanto dall’ omonima serie della Marvel (il primo numero risale al ’63, opera di Stan Lee, Jack Kirby e Dick Ayers) che dagli indizi disseminati da quest’ultima nel corso degli anni nelle pellicole dedicate ai suoi supereroi, tante tessere destinate alla composizione, non certo definitiva, di un agognato mosaico.


Qui finalmente il buon Whedon dimostra di essere anche un valido regista, con qualche asso nella manica, vedi l’estrema mobilità della macchina da presa che gira intorno al gruppo superomistico, ora d’ accordo nel menare le mani per la salvezza del mondo, riuscendo anche a dare un minimo di significato ad un 3d sinora trattenuto nella primigenia funzionalità effettistica da drive- in, ovvero, senza troppi sofismi, dal sentore di presa per i fondelli.
Fil rouge tra le varie vicende e i rapporti con il resto dell’allegra brigata sembra essere l’umorismo sornione di Stark/Iron Man, ben reso, tra un gigionismo e l’altro, da Downey Jr., moderno dandy erede del miglior De La Vega, che fa da efficace contraltare alla pomposità retorica di Capitan America (colpa della divisa …) o alla magniloquenza inutilmente shakespeariana di Thor, visto che il contrasto con Oki (ben reso nell’interpretazione di Hiddleston come villain da operetta) si trasforma qui in un piagnisteo su chi sia stato il cocco di papà Odino.

Che dire in conclusione? Di un albo a fumetti si possono apprezzare tante cose, insieme o prese singolarmente, dal senso dell’avventura all’eroismo sofferto in odor di sacrificio, passando per la visionarietà barocca e la vacua ampollosità dei dialoghi, poi lo si ripone e, convinti o meno, si attende l’uscita del prossimo numero … E’ il merchandising bellezza, e non puoi farci nulla, anche perché, morale lapalissiana di tutta l’operazione, “l ‘unione (Marvel più Disney distributrice ) fa la forza”.





