Magazine Cinema
Origine: Australia
Anno: 2014
Durata: 93'
La trama (con parole mie): Amelia, madre single rimasta vedova lo stesso giorno della nascita del figlio Samuel, sette anni prima, vive faticosamente la sua quotidianità affrontando le difficoltà che provoca anche il carattere decisamente particolare del bambino, che spesso e volentieri dimostra di avere problemi relazionali a scuola e non solo. Quando il piccolo rivela alla donna un libro trovato in camera sua dedicato ad un misterioso essere chiamato Babadook manifestando il timore che il mostro raffigurato tra le pagine possa entrare nelle loro vite, Amelia liquida la cosa come la semplice paura di un bambino: peccato che l'ospite indesiderato non aspetti altro, prendendo lentamente possesso della casa e della quotidianità trasformando la stessa in un vero e proprio incubo.Riusciranno Amelia e Samuel a fare fronte comune per sconfiggere il Babadook?O il mostro avrà la meglio conducendo alla distruzione la famiglia?
Nel corso degli anni trascorsi dall'apertura del Saloon, più volte è capitato che alcuni titoli non distribuiti da queste parti diventassero dei veri e propri fenomeni della blogosfera: passaparola e recensioni entusiastiche hanno dunque finito per consacrare prodotti come Dogtooth, Enter the void, The troll hunter, Europa report, che in alcuni, isolati casi, hanno finito per avere il "privilegio" di giungere anche nelle nostrane sale.Di recente, uno dei più discussi è stato The Babadook, piccolo gioiellino australiano scritto e diretto dalla promettente Jennifer Kent, ex attrice all'esordio su un lungometraggio, sdoganato da più angolazioni come un horror e presentato, in questo senso, come il titolo dell'anno: la realtà dei fatti, però, è senza dubbio più complessa di quanto non appaia ad una prima vista.Dunque potrei quasi senza troppi pensieri affermare che The Babadook non è un film horror, quantomeno nel senso tradizionale del termine: è più un abile cocktail di indagine psicologica nello stile dello Spider di Cronenberg, atmosfere inquietanti che ricordano Il sesto senso, suggestioni derivate da omaggi al Nosferatu di Murnau e alla magia di Melies, una strizzata d'occhio ai film anni ottanta - quelli, effettivamente, di matrice horror - ed una cornice quasi burtoniana impreziosito da due interpretazioni da brividi offerte al pubblico rispettivamente dal bravissimo Noah Wiseman e dalla strepitosa Essie Davis, che probabilmente ha finito per giocarsi già il ruolo della vita.Eppure la parte più interessante di questo lavoro risiede non tanto nella paura, quanto nell'inquietudine pronta a pesare sull'audience - soprattutto di sesso femminile, e soprattutto se si tratta di madri - fin dai primi minuti, a partire dalla condizione di genitrice single e vedova della protagonista, passando attraverso il delicato equilibrio del piccolo Samuel - che, almeno al principio, assume il ruolo di anello debole nella catena spezzata dall'arrivo del "mostro" prima di passare il testimone alla madre - fino all'analisi profonda e decisamente non banale del superamento del dolore di un trauma enorme come dev'essere la perdita del proprio compagno - o compagna, sia chiaro - nel giorno della nascita del proprio figlio, ed una vita consacrata allo stesso resa ancor più difficile dalle incombenze di norma divise più o meno equamente tra i due genitori.Senza dubbio nel corso della visione qualche momento di deja-vù negli spettatori più navigati apparirà inevitabile, eppure il lavoro della Kent funziona, e superato lo scoglio dell'associazione ad un genere - superamento che avviene, paradossalmente, proprio nel momento della prima apparizione "fisica" del Babadook - tutto diverrà più profondo e complesso di quanto non ci si aspetterebbe al principio, entrando in territori più affini all'analisi che non al terrore puro e semplice: in fondo, i più abituati al confronto con i lati oscuri del Cinema - e non solo - ben sanno che la realtà è lo strumento più terrificante con il quale è possibile portare a galla le paure - io stesso considero il Bob di Twin Peaks ancora oggi il mio spauracchio più grande, proprio perchè rappresentato da un attore in carne ed ossa, non truccato e mascherato come un qualsiasi babau da horror "classico" -, e benchè la formazione della Kent possa essere decisamente accademica - citare in questo modo Murnau ne è la dimostrazione - la regista di questo piccolo cult ha finito per imparare bene la lezione - e chissà che non l'abbia fatto sulla propria pelle -, appoggiando sulle spalle della sua straordinaria attrice protagonista tutta la seconda parte della pellicola, svelando sequenza dopo sequenza il lato più reale ed umano del Babadook, le inquietudini ed i dolori di una madre, la forza ed il desiderio di battersi fino allo stremo per proteggere il proprio figlio e gli istinti dominati a fatica nei momenti più stressanti legati alla presenza dello stesso.Le scelte che portano al finale, o l'epilogo stesso, inoltre, finiscono per essere intelligenti derivati legati all'atto di sezionamento del trauma operato dall'autrice, pronta a costruire una metafora dark di una delle situazioni più difficili che una madre possa vivere: la sfida di crescere un figlio - specie se maschio - da sola e senza alcun riferimento, vedendo lo spazio riservato a se stessa ancora più ridotto di quanto non sarebbe - e parliamo, comunque, già di molto - con un compagno.In questo senso l'utilizzo del Babadook ed il parallelo con la gestione di un dolore custodito gelosamente con la promessa di rivelarlo al figlio solo una volta che quest'ultimo sarà cresciuto rappresenta un ritratto di quello che ogni genitore vorrebbe, ovvero preservare i propri piccoli da tutto il male del mondo, rimandando il più possibile il momento in cui lo stesso male verrà, inevitabilmente, a chiedere il conto.Perchè non c'è verso di non affrontarlo.E il Babadook lo sa.Per questo negare la sua esistenza equivale a soffrire in misura sempre maggiore.
MrFord
"But for you
ooh, you
ooh, the Babadook
ooh, for you
ooh, you
ooh, the Babadook."George Ezra revisited by Ford - "Budapest" -
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