Ed invece, togliendosi galloni ed età anagrafica, Levinson si butta a capofitto nell'impresa con voglia e stile da ragazzino per raccontare la storia di una cittadina di mare, la cui esistenza viene sconvolta da un misterioso virus che inizia a decimarne gli abitanti. A raccontare l'apocalisse una giornalista al primo giorno di lavoro, ed i filmati delle vittime, tutte quante, nessuna esclusa, puntuali nel testimoniare con ogni mezzo lo sbigottimento e l'orrore di quell'esperienza.
Disaster movie con venature ecologiste, "The Bay" è soprattutto un horror che, alla pari di altri che l'hanno preceduto si presta ad una duplice lettura. Da una parte c'è la trasfigurazione di una civiltà in declino, condannata all'estinzione nel giorno della sua celebrazione (l'azione è infatti concentrata nell'arco delle 24 ore a cavallo dell'Indipendence day) a causa dell'inquinamento ambientale da lei stesso provocato. Dall'altra emerge in maniera prepotente la riflessione sul mezzo cinematografico e sull'influenza che esso ha subito sul piano delle immagini per il moltiplicarsi dei formati e delle fonti. Due aspetti che "The Bay" riesce ad integrare con l'escamotage del found footage, - quello che vediamo è il documentario assemblato dalla giornalista - capace di realizzare una discesa negli inferi verosimile e disturbante, utilizzando fonti visive eterogenee - dagli sms ad internet, dalla riprese via Hi Phone alle telecamere a circuito chiuso - che acuiscono la sensazione di no way out attraverso la materializzazione di un terzo "occhio", ubiquo ma impassibile nella registrazione dello sconvolgentente avvenimento; inno alle possibilità della tecnica cinematografica e contemporaneamente de profundis su un' arte ridotta ad un reality omnicomprensivo. Se la scelta di interpreti semi sconosciuti è funzionale al tono pseudo amatoriale delle riprese - in realtà controllate e studiate nel minimo dettaglio - e la svolta in chiave horror che fa del batterio carnivoro annidato nelle acque della baia un killer all'altezza della situazione, "The Bay" paga dazio per una imprevedibilità, anche formale, che gli aficionados della Bloomhouse hanno imparato a conoscere. Così alla fine si resta più ammirati dal talento artigianale dell'operazione che dalla sua capacità di sorprendere.Possono interessarti anche questi articoli :
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