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The Best – Di me, resterà soltanto il calcio.

Creato il 25 novembre 2015 da Agentianonimi

“Non seguite il mio esempio”

Oggi – 25 novembre 2015, sono esattamente dieci anni che George Best non c’è più.
Quando si pensa a George, tornano alla mente essenzialmente due immagini, iconiche: l’una con indosso la leggendaria numero sette del Manchester United, l’altra che lo ritrae intento a far scorrere dello champagne su una pila di bicchieri, disposti l’uno sull’altro.

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George Best nasce il 22 maggio del 1946 a Belfast, una tipica cittadina dell’Irlanda del Nord. Un piccolo uomo dal destino immenso – che lo ha visto dribblare verso il successo e poi eclissarsi, divorato dai propri vizi. Una vita di corsa la sua: una marcia trionfale dietro al pallone e una fuga disperata nell’alcol che – troppo presto – ne ha consumato fisico, spirito e talento.

Un fuoriclasse con l’aspetto da bello e dannato, che l’ha reso il più ambito dalle starlette dell’epoca, oltre che Re indiscusso di ogni tabloid. La vita di George oscillava continuamente dall’essere l’Uomo Partita, al diventare l’Uomo Copertina di qualche rivista scandalistica – il suo nome era sulla bocca di tutti coloro che commentavano i suoi vizi, di tutti i tifosi degli inarrestabili Red Devils degli anni Sessanta e di tutti quelli che avrebbero voluto imitarlo … ma George era impossibile da eguagliare!

“Pelé ha detto che sono il più grande giocatore al mondo. L’ho sempre pensato anch’io”
George fa il suo debutto sul campo da calcio da giovanissimo: all’età di diciassette anni viene notato da Bob Bishop – osservatore del Manchester United – il quale invierà immediatamente un telegramma a Matt Busby, l’iconico allenatore alla guida dello United, con una sentenza: “Penso di aver scoperto un genio”.
Un genio, sì – affetto da un’inesorabile sregolatezza.
George esordisce presto in prima squadra e costella, fin da subito, la propria carriera – e quella del Manchester dell’epoca – con importanti riconoscimenti: due scudetti, nel 1965 e nel 1967, e l’imponente Coppa Campioni del 1968. Talentuoso capocannoniere, George segna per quella che è stata la squadra della sua vita, ben 136 gol.
Presi il pallone, saltai diversi avversari, poi vidi Cruijff a centrocampo, lo puntai e lo saltai con un tunnel. Mi voltai e gli dissi: Tu sei il più forte, ma solo perché io non ho tempo” – Irlanda del Nord – Olanda, 1976.
Un ego ingombrante– e irresistibile.

“Ho sempre voluto di più, più di tutto”
Ossessionato dalla voglia di eccedere e di eccellere: sul campo da calcio, al bancone del bar, ai party, in camera da letto.
George odiava il fischio finale – perché se stava giocando bene sentiva il bisogno di segnare ancora, se stava giocando male doveva riscattarsi.

Pallone D’Oro nel 1968 – il più giovane di sempre. Tuttavia, l’irriverente astro nascente arrivò ben presto al suo declino, con la stessa velocità con la quale aveva raggiunto il successo. Nonostante,
la sua vita sopra le righe, fuori dal campo, non avesse mai influito sul suo rendimento durante le partite – il suo spirito ribelle diede luogo ben presto a seri problemi comportamentali che spinsero lo United a trattenerlo fuori rosa per due settimane. La cosa si ripeté e George, il cui posto era quello sotto i riflettori e non a bordo campo, decise di svestirsi della sua leggendaria numero 7 – questa scelta segnò il suo declino.

Prese a peregrinare in vari club su scala mondiale: approdò in Sud Africa, Irlanda, Stati Uniti, Scozia e Australia, ma non riuscì a stabilirsi in pianta stabile in nessuno di questi. Un fenomeno della natura dalle enormi potenzialità, mutò in una stella decaduta.

“Ho speso gran parte dei miei soldi per alcol, donne e automobili. Il resto l’ho sprecato”
L’esistenza di George arse di passioni e piaceri – bruciò all’insegna di questa filosofia di vita, e si consumò troppo presto.

Due mogli, un figlio – Calum Best, il quale ha dedicato addirittura un libro al padre, dal titolo Second Best: My Dad and Me. Un ricordo amaro di un padre poco affettuoso e “quasi sempre ubriaco”.
Una vita dissipata nel lusso, spettacolare a tal punto da ispirare un film. Best (2000) ripercorre la drammatica storia del leggendario calciatore – lo spettatore viene guidato dalla regia ritmata e consapevole di Mary McGuckian, all’interno di un’esiziale spirale di fama, dipendenza e autodistruzione.
John Lynch presta il volto al calciatore che, all’inizio della pellicola, riceve la triste notizia della dipartita del suo mentore e allenatore, Busby e ci conduce in un viaggio onirico, cullati dal ricordo di una scintillante carriera – che ha perso la sua lucentezza, mutando in un’opaca meteora quando Best ha abbandonato per sempre lo spogliatoio dello United.

“Quando morirò la gente dimenticherà tutte le cavolate fatte e quello che resterà sarà solo il calcio”
L’ultima fotografia in copertina di George è straziante: una sorta di foto-testamento che lo ritrae consumato dall’alcol e dalle droghe, sul letto d’ospedale – accompagnata da una didascalia lapidaria, un monito indirizzato ai giovani: “Non seguite il mio esempio”.
L’alcol rimane l’unico avversario che George non è mai riuscito a battere.

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Tuttavia, noi lo vogliamo ricordare così: con il viso da bravo ragazzo, inquinato da una barba incolta e un aspetto da “Quinto Beatle”, su cui ha sempre troneggiato lo sguardo fiero del fuoriclasse e il sorriso sincero di chi vive, consuma voracemente ogni attimo di vita con intensità.
Ciao George, per noi rimarrai sempre il Best … e siamo sicuri che sei felice di sentirtelo dire.

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A Cura di Alexia Altieri


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