Un successo per gli scienziati americani in cerca di rivincite dopo avere dovuto assistere, quasi da spettatori, alle acrobazie del Large Hadron Collider ginevrino mentre impegnato a scovare le particole subatomiche teorizzate da Peter Higgs e dai tanti colleghi fisici con lui. Un successo per il genio visionario incarnato e immortalato da Gene Roddenberry…. una giornata da festeggiare per i “nerds” di tutto il mondo. Chi sono i nerds? Secondo Wikipedia Italia “Nerd è un termine della lingua inglese con cui viene chiamato chi ha una certa predisposizione per la ricerca intellettuale, ed è al contempo tendenzialmente solitario e con una più o meno ridotta predisposizione per la socializzazione. Lo stereotipo vede queste persone affascinate dalla conoscenza, specialmente quella riguardante la scienza e la matematica; i “nerd” sono inoltre considerati poco interessati alle attività sportive e sociali….A partire dagli anni novanta molte persone che si consideravano “nerd” iniziarono a sostenere che tale appellativo avesse una valenza positiva, ed iniziarono ad usarlo per connotare le persone che hanno competenze tecniche di un certo livello… “.
A parte la verbosità della scrittura (tratto che a dire il vero accomuna questo sconosciuto writer wikipedico alla scrivente!), ritengo che la sua descrizione del “nerd” sia comunque molto riduttiva. Concordo però sul fatto che questo termine connoti e debba connotare in positivo perché… diciamocelo francamente… l’atterraggio di Curiosity non avrebbe mai potuto esistere senza la… curiosità intellettuale, l’interesse per tutto ciò che è fuori dall’ordinario, la capacità di visione, la capacità di meravigliare, la capacità di sognare ad occhi aperti, la capacità di mantenere vivo l’wordsworthiano bambinello-dentro che è tipica del nerd. Detto altrimenti non vi è scienziato, per quanto scarsamente dotato, che, da ragazzo, finanche in età adulta, non sia stato, a suo modo, un piccolo “nerd”. Che non si senta, ancora, un nerd. Nel profondo.
A questo proposito credo si debba fare un monumento alla Warner Bros e agli autori Chuck Lorre e Bill Prady per aver deciso, nel lontano 2007, di portare questa straordinaria dimensione dell’Essere a(sociale) sul piccolo schermo in chiave decisamente non convenzionale. Il risultato è stato The Big Bang Theory, la pluripremiata sit-com statunitense (attualmente alla quinta stagione), che ha scalato la classifica delle situation comedies più godibili di ogni tempo. Per quanto mi riguarda ha scavalcato finanche il pur inossidabile Father Ted dei bravissimi Graham Linehan e Arthur Mathews. Soprattutto, The Big Bang Theory ha avuto il pregio di aver creato un altro character immortale, magistralmente interpretato Jim Parsons, ovvero l’incommensurabile fisico teorico Sheldon Cooper, la cui ideale biografia, da adesso in poi, non dotrebbe mai mancare nella biblioteca di ogni nerd che si rispetti, così come non potrebbe mancare il Tutto-Spock-per-dummies, il Tutto-Data-per dummies e via così almanaccando.
Per chi non avesse mai avuto modo di vedere questa produzione, occorre dire che The Big Bang Theory è una sit-com che racconta le vite alquanto dinamiche e fuori-dall’ordinario di quattro giovani scienziati, ovvero il già menzionato fisico teorico Sheldon Cooper, il fisico sperimentale Leonard Hofstadter, l’astrofisico indiano Rajesh Koothrappali, l’ingegnere aerospaziale ebreo Howard Wolowitz. Più specificatamente, secondo me, ciascun episodio è in realtà il racconto di un momento-di-frizione tra la dimensione ideale che questi ragazzi sono portati a vivere, per elezione ma anche in virtù delle loro professioni, è la dimensione matter-of-fact del quotidiano, specialmente quanto quest’ultima presenta il suo conto e “ordina”, impone, richiede una qualche forma di interrelazione sociale in generale e/o con l’altro-sesso in particolare. La prospettiva di visione critica resta naturalmente quella di una mal-sopportata intromissione di un manchevole (in senso lato) universo reale dentro le più complesse dinamiche di un universo alternativo, virtuale, altrimenti-perfetto, nonché fonte di inesauribile soddisfazione intellettuale (la quale, per ovvie ragioni, sfocia nel fisico) e proprio per questo fondamentalmente autarchico nella sua natura.
Se è poi vero che per coprire-al-meglio la parte tecnico-scientifica, gli autori si sono completamente affidati all’expertise di veri scienziati (straordinaria la presenza di Brian Greene in uno degli ultimi episodi della quarta stagione!), resta comunque fenomenale la capacità dialettica espressa dagli stessi sceneggiatori. A mio avviso, lo script di The Big Bang Theory è infatti uno dei più felici, geniali ed ispirati che mi sia mai capitato di “leggere”. Tale è anche il livello di sofisticazione linguistica, logicamente e conseguenzialmente rafforzato dai tecnicismi di cui tutta l’opera è infarcita a diversi livelli, nonché dalle necessità più brillanti di un orizzonte d’attesa fondamentalmente ludico, che non mi riesce di immaginare questa sit-com in nessuna altra lingua che non sia l’inglese. E se da un lato fa rimanere a bocca aperta la corrosiva forza dialettica di uno Sheldon Cooper assolutamente incapace di una utterance da comuni mortali anche quando deve oggettivare la più semplice delle cogitazioni, dall’altra non serve troppo tempo per rendersi conto che l’ideale macro campo semantico costruito da Lorre e Prady racchiude in se tutto il meglio dello sci-fi da Edgar Allan Poe, passando per Orson Welles, in poi.
Su un livello più scientificamente “impegnato” The Big Bang Theory si risolve, naturalmente, in una grande satira, canzonatura, caricatura, parodia delle necessità, dei modelli, delle speculazioni più o meno arzigogolate buttate su un tavolo scientifico ancora fondamentalmente scettico dai pioneri che negli ultimi 60 anni si sono dedicati alle cose della Nuova Fisica, i.e. della fisica quantistica. Tanto per chiarire, proprio quella dei vari (?) bosoni di Higgs e delle altre particole subatomiche già menzionate. Non a caso, il vero centro del mondo della The Big Bang Theory è quello stesso Sheldon Cooper, fisico teorico, string-theorist dal quoziente intellettivo altissimo, che guarda con condiscendenza e alla stregua di paria-intellettuali non solo i suoi stessi colleghi, ma soprattutto i fisici sperimentali, gli astrofisici, per non parlare degli ingegneri aerospaziali visti come il semplice braccio deputato a realizzare ciò che ha partorito la mente. Ma non una mente qualsiasi. Piuttosto la sua. Una mente superiore, dunque. Ed è sempre quello stesso Sheldon Cooper talmente abituato a ragionare per massimi sistemi che, immancabilmente, si perde davanti alla “complessità” delle problematiche più semplici, quotidiane, quelle che l’uomo della strada risolverebbe con uno schiocco delle dita, sicuramente senza pensare.
Il tutto per concludere dicendo che quest’opera geniale di Lorry e Prady è, nella mia visione delle cose, un grande affresco, presentato in chiave ludica e socialmente distopica, dell’universo scientifico (a tutto tondo) del nostro tempo. Un universo a cui – fatte salve le comprensibili esagerazioni – occorrerebbe guardare con maggiore attenzione dovunque, soprattutto nelle nostre scuole soffocate da un obsoleto modus di fare formazione che è già stato dei nostri padri e prima ancora dei nostri nonni. La verità recità però che oggidì noi non siamo soltanto davanti al portone del castello della Nuova Fisica, ma, mercé uno sviluppo tecnologico senza precedenti - di cui il progetto-rover che ha portato “Curiosity” su Marte è solo uno dei tanti scattered-developments - siamo pure davanti al fossato che separa la nostra attuale dimensione esistenziale e intellettuale da un’altra sicuramente molto più evoluta. Inutile dire che fare il necessario salto senza l’indispensabile kit-di-sopravvivenza potrebbe risultare molto pericoloso. Fatale, per certi versi. Senza considerare che imparare, conoscere, studiare, proprio come insegnano gli arguti sceneggiatori di The Big Bang Theory sono “compiti” oltremodo dilettevoli, piacevoli, spassosi ed è questa, o almeno dovrebbe essere questa, a mio modo di vedere, la prima lezione che occorrerebbe insegnare nelle scuole. In tutte le scuole. O, per dirla con l’ormai mitico Sheldon Cooper “La fisica è teorica, il divertimento è reale!”. E – aggiungerei – pure i risultati!
Featured image, “Curiosity” sulla superficie di Marte. Simulazione. Fonte la Rete.