Magazine Attualità

The Big Obama

Creato il 01 settembre 2013 da Dave @Davide

obama

Il Barack Obama che oggi affronta la questione siriana ricorda per certi versi Drugo de Il grande Lebowski, quello che – com’è noto – nella commedia di Joel Coen del 1998 si trova, suo malgrado, invischiato in un intrigo più grande di lui, che invece aveva tutt’altri piani (nel caso del film, nient’altro che riavere indietro il proprio tappeto).

Così il Presidente americano pare essere rimasto intrappolato tra due fuochi: da una parte la promessa, un anno fa, di intervenire in caso di calpestamento della «red line» da parte di Bashar Assad; dall’altra, la ritrosia a intervenire in un teatro instabile, ormai compromesso e in cui i confini tra “buoni” e “cattivi” sono più labili che mai. Il tutto, peraltro, senza ampio consenso nell’opinione pubblica statunitense.

Ecco perché il discorso del segretario di Stato John Kerry di lunedì scorso. considerato dagli analisti un prodromo della dichiarazione di guerra («all nations must stand up»), era parso stonare nei confronti dei dubbi che l’amministrazione Obama aveva serbato fino ad allora. Barack Obama era (è) diventato improvvisamente interventista e risoluto nello spingere per una soluzione militare perché – ha sostenuto più volte nelle ultime ore – l’uso di gas è proibito da accordi internazionali, e che lezione otterrebbero i dittatori di ogni latitudine se gli Stati Uniti lasciassero un crimine del genere impunito?

Eppure ieri, nel discorso dal prato della Casa Bianca col fedele Biden al seguito, Obama – arrivato in ritardo perché impegnato a discutere al telefono con lo speaker del Congresso John Bohner – ha annunciato che passerà attraverso il voto dei deputati americani. Perché, dal momento che (come ha aggiunto poco dopo) è intenzionato a colpire anche in caso di no proveniente da Capitol Hill? Come scrive Paul Danahar, a lungo top commentator del Medio oriente alla BBC:

Obama boxed himself in over Syria with redline remark & now perhaps again if congress votes no. 1st seemed by accident. Is latest by design?

— Paul Danahar (@pdanahar) August 31, 2013

Tradotto: è la seconda volta che Obama si incarta, ma la prima è sembrata essere un caso fortuito. E quest’ultima? Nel frattempo Kerry, vera vittima sacrificale (col premier britannico Cameron, che ha incassato una sconfitta politica per rispettare i tempi di un’agenda diversa) del cambio di rotta della Casa Bianca, dichiara: «Non prendiamo in considerazione l’ipotesi che il Congresso voti no». Di altro avviso è però il deputato repubblicano Peter King, che dice che se il suo organo votasse oggi «sarebbe probabilmente un no». Maurizio Molinari, corrispondente della Stampa, scrive che prima che il Congresso torni a riunirsi il 9 settembre il Presidente dovrà convincere l’America che la risposta «limitata e senza l’invio di truppe» che ha in mente è necessaria, altrimenti una sconfitta ne affosserà – forse definitivamente – la credibilità politica.

Nel frattempo, come da lanci di agenzia odierni, il governo di Damasco gongola e chiama l’impasse di Obama «ritirata». Come se non bastasse, da un certo punto di vista ha ragione.

Articoli sull'argomento:

  • Il punto sulla Siria
  • Mentana resti al bar
  • Chiedere scusa al prof. Becchi
  • Il Barack Obama del 2008, 5 anni dopo
Share Button

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :