The British Bee Hive. Ovvero, il classimo non è acqua.

Creato il 11 settembre 2012 da Mrs Garrick

"The class war is over" aveva dichiarato Tony Blair negli anni Novanta. Neanche per idea dico io. Che la lotta di classe non è affato finita e ancora adesso chiamarsi Tarquin invece di Kevin, fare la spesa al supermercato Waitrose invece che da Morrison, leggere il Telegraph o The Guardian invece del Daily Star conta ancora qualcosa. Il classismo degli inglesi (o meglio, di certi inglesi) mi irrita, e mi affascina allo stesso tempo.

Alla socetà vittoriana piaceva immaginare il mondo come un alveare in cui ognuno occupava una posizione sociale ben definita e, soprattutto, sapeva stare al proprio posto. Ma se la scala sociale di questo alveare poteva essere scalata grazie all’impegno e al duro lavoro, altrettanto non si può dire accada tra i dipartimenti di quell’alveare vittoriano che è il nostro museo dove, se si proviene da certi dipartimenti, la scalata e praticamente impossibile. E soprattutto se uno dei dipartimenti in questione è quello a cui apparteniamo noi gallery assitants…

Perché, diciamocelo, chi fa un lavoro come il mio (come la baby-sitter, la donna delle pulizie, la cameriera, la commessa) non gode di una grande considerazione là fuori, nel mondo degli adulti dico. Che solo un decennio fa chi ricopriva questa posizione lo faceva perché cercava un lavoro sicuro, per cui non erano necessarie qualifiche particolari o perché veniva da fuori e non aveva un comando sufficiente della lingua per fare altro. Era per dirla in breve, un lavoro decisamente Working Class

Ma se l'istruzione e la recessione hanno cambiato radicalmente la geografia della piramide sociale del nostro dipartimento rientandola decisamente verso la Middle Class, l'opinione di chi ci vede da fuori (del pubblico e dello staff) non ha fatto altrettanto. Ci vedono "aleggiare" nelle gallerie come tanti ectoplasmi senza altro scopo apparente che quello di fare venire sera, avvolti nella nostra uniforme da pinguino che ci rende tutti uguali, neanche fossimo tornati in Cina sotto Mao. E traggono le conclusioni che chi fa questo lavoro deve essere un completo idiota. Perché se uno non lo fosse farebbe altro, no?

Quando ad un party la gente parla del proprio lavoro e tu dici che fai la guardasala (ma potrebbe essere la baby-sitter, la donna delle pulizie, la cameriera o la commessa: il risultato è lo stesso) la conversazione si stoppa come un treno a cui qualcuno ha tirato il freno d'emergenza e nessuno ti chiede più nulla perché nessuno pensa ci sia nulla da chiedere (è anche per sfatare un mito che ho iniziato il blog). Che dalla notte dei tempi, tu sei il lavoro che fai. Un avera e propria licenza al complesso di superiorità. Il che crea infinite (e per me alquanto divertenti) situazioni imbarazzanti. Molti reagiscono al problema fingendo che il "problema" (la persona) non esista.

The British Bee Hive, Cruikshank, George © V&A

Inutile dire che questo è davvero troppo per la mia natura democratica e attaccabrighe. Soprattutto da quando, molto tempo fa, un collega più anziano mi ha ripreso perchè avevo commesso (udite udite!) il peccato mortale di aver salutato il Direttore delle Collezioni. Mi pareva educato. Macché! ‘Lui è un capo. Se lui ti parla tu rispondi. Non lo fai tu per prima. Che lui ha altro a cui pensare che fare convesazione con noi!’ Uh! Da allora non perdo occasione per salutare ogni curatore, restauratore, accademico che attraversa la mia galleria. Soprattutto quelli più anziani e conservatori che fanno apposta a fingere di non vederti (anche se sei l’unica persona nella sala) e quando ti parlano lo fanno come se rirvolgessero alla cameriera (nel mio caso, essendo forestiera scandiscono le parole come si fa con i bambini). Provo un particolare piacere nel costringerli a riconoscere la mia presenza, soprattutto se la 'salute' della galleria in cui mi trovo a lavorare li riguarda: è una piccola vittoria contro quel atteggiamento classista che quell’illuso di Tony Blair aveva considerato finito.


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