A cominciare da quella ingenua e fin troppo irritante voce fuori campo che ci accompagnerà fin dal primo istante, The butler è un film sbagliato sotto molti punti di vista. Fatto per piacere prevalentemente al pubblico americano, portatore sano di un senso di colpa grande come il Montana, The butler pecca di troppe ingenuità, senza decollare veramente mai. Le lotte per i diritti civili, i freedom bus, le proteste passive… la pellicola mette tantissima carne al fuoco, soffocandola abbondantemente e poco sapientemente in una confusa sarabanda di ingombranti e fugaci apparizioni dei leader politici che si sono avvicendati alla guida del paese. Una sprecata folla di attori e caratteristi che non lasciano mai il segno e di cui si fatica veramente a ricordare i nomi, vista la loro impalpabile inconsistenza. Quello che quindi doveva essere un delicato apologo su di un maggiordomo nero al servizio della Casa Bianca, si trasforma velocemente in una confusa parata di volti, inanellando suggestioni di grana grossa e riflessioni di una banalità sconcertante. Solo in un momento il film si fa seriamente lucido e vero, quando riflette sul ruolo silenziosamente sovversivo della servitù nera al servizio del potere bianco, un ragionamento in se piuttosto acuto ed inedito, unico spiraglio di luce in una tenebra fatta di luoghi comuni e piattume. Il problema è che The butler fallisce nel ritrarre in maniera credibile il complesso universo del lavorare a servizio (la serie Downton Abbey e Quel che resta del giorno di Ivory, per citare un paio di esempi eccellenti, sono lontani anni luce) e cade rovinosamente nella maniera quando decide di fotografare l’evoluzione di un’epoca. Ben prima di questo film, altre pellicole hanno scavato nel cuore nero e gravido di sangue del paese delle libertà presunte, vengono alla mente i nomi di Alan Parker, Spike Lee e Quentin Tarantino, giusto per citare alcuni esempi altisonanti, ma al confronto di questa confusa e pasticciata parata di star, anche Porky’s 2 ha saputo fare meglio, con il suo attacco diretto al razzismo, all’intolleranza e perfino al Ku Klux Klan. Qualcuno potrebbe obbiettare che il film non sia poi così tragico come lo si dipinge e forse in questa affermazione c’è del vero, ma la fugacità con cui appaiono e scompaiono personaggi principali e comparse (Terrence Howard e Mariah Carrey su tutti), l’approssimazione con cui si pretende di descrivere un periodo storico o un’ideologia grazie ad un taglio di capelli o un improbabile capo d’abbigliamento ed infine il costante mood agiografico che non ci risparmia nemmeno un finale a suon di Obama e senilità assortite, relegano The butler nel purgatorio delle pellicole che hanno molto da farsi perdonare… La cosa che dispiace di più poi, è vedere che a far le spese di tanta colpevole approssimazione, è il delicato e contrapposto rapporto tra un padre e un figlio, qui trattato con una delicatezza degna della peggior soap opera.
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