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La trama (con parole mie): Cecil Gaines, cresciuto tra le piantagioni segnate dalle ingiustizie negli anni venti, attraversa quasi un secolo di Storia americana prestando servizio come maggiordomo alla Casa Bianca, in equilibrio tra Presidenti ed amministrazioni dal piglio a volte assolutamente agli antipodi e la crescita dei due figli, provando sulla pelle non solo il percorso del movimento dei Diritti civili ma anche le speranze degli anni cinquanta, la rottura dei sessanta, la morte di Kennedy, il Vietnam, l'altro lato della medaglia durante l'amministrazione Reagan e, per finire, ormai vecchio, l'elezione di Obama.Il pubblico si mescola al privato quando la neutralità per professione di Cecil verrà messa a dura prova dal rapporto con la moglie e specialmente con il figlio maggiore Louis, fin dai tempi dell'Università affiliato ai movimenti più estremi legati alla lotta affinchè gli afroamericani potessero finalmente ottenere gli stessi diritti dei bianchi.
Passata la consueta ed annuale sbornia da Oscar, ed approcciato The butler con un discreto ritardo rispetto alle uscite in sala, mi sono chiesto come possa essere stato possibile che, a rappresentare il classico stile all'ammmeregana di grana grossa fosse Capitan Findus, piuttosto che questo drammone firmato da Lee Daniels, regista afroamericano che già non aveva convinto il sottoscritto ai tempi di Precious.
The butler, infatti, porta in dote quelli che sono tutti i valori - in positivo e in negativo - che di norma richiede l'Academy, rappresentando di fatto il classico filmone hollywoodiano in grado di unire impegno civile e lacrima facile cercando di apparire decisamente più autoriale di quanto non sia in realtà: forse la presenza del ben più solido 12 anni schiavo - in più di un senso legato a questo film - ha finito per penalizzare il lavoro di Daniels, che pure, con tutti i suoi limiti, non avrebbe sfigurato tra i candidati, soprattutto se paragonato alle già citate avventure in mare aperto di Tom Hanks o anche al sopravvalutato Gravity.
Devo dire, infatti, di essere uscito dalla visione decisamente più sorpreso in positivo che non in negativo - come mi aspettavo -, e di non aver avuto particolari istinti bottigliatori osservando il ritratto degli States in black visti attraverso gli occhi del Cecil Gaines di Forest Whitaker - che sfodera, tra le altre cose, una signora interpretazione - neppure nei suoi momenti più retorici o negli spot pro-Obama da piena campagna elettorale fuori tempo massimo del finale, godendomi questa pellicola per quello che è, ovvero il più classico dei classici blockbuster sociali che tanto piacciono ai nostri cugini a stelle e strisce, specie quando si tratta di lavarsi la coscienza da porcate di più o meno grosso calibro - e la storia dei conflitti razziali trabocca delle suddette, dagli episodi di Selma, in Alabama, citati anche nella splendida Eve of destruction di Barry McGuire, alle morti di Malcolm X e Kennedy -.
Del resto, la confezione è ottima - pur se oltremodo patinata -, la sceneggiatura regge - nonostante alcune parti ed amministrazioni siano soltanto sfiorate e perdano dunque di fascino - ed il cast conferma di essere da grandi occasioni, a partire dal protagonista passando per sorprese in positivo - Lenny Kravitz, sempre più lanciato nella sua nuova veste di attore -, conferme - ottimo Alan Rickman nel ruolo di Reagan, il più interessante tra i Presidenti portati sullo schermo - e piccoli piaceri - Yaya Alafia, che fa passare in secondo piano le questioni prettamente tecniche della recitazione -: la cosa migliore, comunque, del lavoro di Daniels resta l'analisi del rapporto tra Cecil e suo figlio Louis, in grado di mostrare il conflitto di due generazioni vissute in epoche decisamente diverse ed il loro modo di reagire di fronte ad un problema che tocca entrambe.
In questo senso, il passaggio migliore della visione lo riserva il confronto nel corso della cena che vede Cecil scoprire l'emancipazione della donna del figlio e l'affiliazione dello stesso alle neonate Black Panthers, in completa opposizione rispetto al regime di silenzio e tacito accordo per la sopravvivenza che, di fatto, lui stesso ha mantenuto per tutta la vita, che si trattasse della sua professione o del rapporto con i bianchi in generale: è interessante così notare lo scontro tra la passione tipica della giovinezza e l'importanza del sacrificio della maturità, pronte a darsi battaglia per poi avvicinarsi con il passare del Tempo, fino ad arrivare ad una comunione d'intenti insperata in grado di superare anche grandi drammi - il destino del figlio minore di Cecil -.
Non saremo di fronte, certo, al film dell'anno, o a qualcosa che si discosti dal più scontato dei melodrammi made in USA, eppure tutto funziona, e seppur lontano da cose più riuscite come The help, anche The butler porta a casa la pagnotta con mestiere ed un pizzico di furbizia, e si lascia guardare dando il suo contributo rispetto alla memoria di eventi che sarebbe decisamente meglio per tutti non si ripetessero in futuro, nonostante ciò che i detti sanciscono a proposito della Storia.
MrFord
"Mother, mother (hoo-ooo)
there's too many of you crying
brother, brother, brother (hoo-ooo)
there's far too many of you dying
you know we've got to find a way
to bring some lovin' here today
(God don't feel your lovin' today)
yeah."Marvin Gaye - "What's going on" -
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