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Jordan, una giovane operatrice del 911 del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, nel tentativo di salvare la vita di una ragazza che chiama il 911 per chiedere aiuto, finisce per doversi confrontare con un efferato serial killer con cui sciaguratamente aveva avuto a che fare anche in passato.
Ecco un'altra anteprima statunitense dopo la precedente di "Evil Dead". Brad Anderson si rimette dietro la cinepresa e gira questo "The Call", thriller abbastanza classico che organizza il racconto intorno alle gesta dell'eroina Jordan (una brava ma anche un pò scolastica Halle Berry) contrapposta al serial killer cattivissimo sebbene soffertamente psicopatico Michael (un Michael Eklund ben indentificato nella sua parte, ma forse un pò troppo forzatamente). Quest'ultimo lavoro di Anderson viene dopo diversi, differenti e interessanti prove che non possiamo dimenticarci anche per capire meglio lo spirito di questo film (in ordine cronologico: "Session 9"-2001; "L'uomo senza sonno"-2004; "Transsiberian"-2008) e dove si pone rispetto al percorso artistico del regista. Ancora una volta il tema centrale, caro al regista, sembra essere la paranoia connessa al perpetuarsi inesorabile della violenza, aldilà dei tentativi delle istituzioni umane di frenare tale violenza generatrice di sentimenti persecutori e colpevolizzanti. Da un punto di osservazione psicoanalitico qualsiasi istituzione assume peraltro proprio il compito di proteggere i suoi membri dalle spinte emotive depressive e paranoidi che li attraversano: i lavori di Elliot Jaques, Tom Main e altri analisti anglosassoni, sono in questo senso emblematici. Anderson ambienta la sua storia in una continua oscillazione tra interno (la sala operativa del 911 dove lavora Jordan) ed esterno (le strade polverose della California battute dall'automobile del killer che trasporta la sua vittima), attraverso la mediazione di un montaggio alternato che a volte non fa che confondere le idee e la visione nonostante inoculi dosi di adrenalina di buona qualità nelle vene dello spettatore. Diciamo che è soprattutto quando siamo dalle parti del prefinale e del finale (quando cioè finalmente il cerchio si stringe attorno al killer, per merito di Jordan), che il film prende una piega molto interessante che ricorda a tratti la mano sapiente del David Fincher di "Seven" (1995) (vedi certi movimenti di macchina semicircolari intorno ai protagonisti collocati in esterni desertici e silenziosi). La colonna sonora di John Debney contrappunta con giusto ritmo e adeguata misura il lavoro della cinepresa e questo equilibrato balletto produce un'effetto di generale equilibrio tra sonoro, visivo e parlato. Il film in sintesi è un buon prodotto che si fa guardare con interesse e piacere, anche rispetto a un quadro complessivo dello script che traduce il trauma di Jordan in una storia, certo non troppo verosimile, ma che comunque possiede una accettabile verosimiglianza ben integrata con l'intrattenimento. Le performance di tutti gli attori sono buone: Abigail Breslin, la vittima, è una giovane donna per niente isterica anche nei momenti maggiormente ansiogeni (per lei e per noi), e che sa tirar fuori la sua parte di lottatrice nei momenti giusti; di Michael Eklund abbiamo già detto ma possiamo aggiungere che il suo carattere di serial killer è anche abbastanza nuovo e non trito e ritrito come molta altra cinematografia ci ha mostrato fin qui; Tara Platt, la supervisor della sala operativa del 911 non è la solita mammosa psicologa di turno che sostiene i suoi allievi e sa invece tenere una giusta e saggia distanza dai movimenti emotivi che attraversano Jordan. Per concludere, due parole sulle scelte stilistiche del finale di una storia che, almeno fino al 70esimo minuto sembrerebbe orchestrata come un normale thriller d'azione con leggère sfumature horror, ma che negli ultimi venti minuti cambia registro in modo radicale sotto diversi profili. In pratica Anderson decide di umanizzare tutto il narrato, in tal modo ridimensionandone i connotati di puro intrattenimento, conferendo al testo filmico una nuance decisamente melanconica che produce un effetto sulle prime spiazzante. Anderson sposta cioè tutta l'attenzione sulle motivazioni e sulla storia personale del killer, non tanto per giustificarne le azioni delittuose, quanto appunto per umanizzarlo. Questo è tuttavia uno dei punti deboli del film, perché comprime troppo tale soluzione nelle ultime sequenze, non approfondendola come sarebbe stato opportuno, e rimandando velocemente in secondo piano tutto il narrato precedente, e di fatto facendocelo dimenticare. Tale finale è poi anche un pò tirato per le lunghe, e lo "scontro finale" tra Jordan e Michael non molto convincente. Aldilà di tale scelta relativa alla chiusura narrativa, scelta per certi versi anche originale e stilisticamente interessante, ma rischiosa, "The Call" rimane un film di buon impianto, condotto con buona mano registica, sebbene non rappresenti una svolta particolarmente significativa nell'evoluzione artistica di Anderson. Il film è comunque un prodotto da vedere, sebbene non possa certo essere definito una pietra miliare indimenticabile del genere (ibrido) thriller-horror. Regia: Brad Anderson Sceneggiatura: Richard D'Ovidio Nicole D'Ovidio, Jon Bokenkamp Cast: Halle Berry, Abigail Breslin, Morris Chestnut, Michael Eklund, David Otunga, Michael Imperioli, Justina Machado, José Zuñiga, Roma Maffia, Evie Thompson, Denise Dowse, Ella Rae Peck Musiche: John Debney Montaggio: Avi Youabian Nazione: USA Produzione: Troika Pictures, WWE Studios, Emercency Films Durata: 94 min.
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