The calling
©Nicola NicodemoIl telefono squillò tre volte. La terza volta alzò la cornetta e lo posò sul tavolo. Dall’altro capo un sussurro simile a un lamento. Sida ascoltò e aspettò che la luce venisse. Quando il bianco inondò la stanza, Sida si sentì trascinare via.
Ricordava quel posto. Maggio 1973. Il sole era fermo nel cielo, sopra la torre dell’orologio, come in quel momento. Non era cambiato nulla. Una bambina inseguiva la ruota lungo la strada. Era ancora ferma lì, immobile nell’atto di afferrarla, in bilico sulla linea del tempo. La polvere sospesa in aria creava una coltre di nebbia rossastra. Un foglio di carta immortalato nel suo volo, modellato da un alito di vento non percepibile. Sostava a mezz’aria sfidando ogni improbabile forza di gravità, come l’uomo che si gettava dalla torre dell’orologio. Sida si avvicinò e lo guardò dal basso. Poteva vederne l’espressione di serena rassegnazione distesa su un volto senza paura. Non c’era più nulla di umano in quegli occhi. Sida distolse lo sguardo. Sapeva che un’emozione troppo forte avrebbe rimesso in moto il corso degli eventi, cristallizzati nel ricordo. Sida rialzò gli occhi al cielo, allungando il braccio verso l’uomo in caduta. Avrebbe voluto toccarlo, stringerlo e riportarlo sulla cima della torre. Gridò, ma il suono non uscì, soffocato da un bruciore intenso nella gola. Non c’era spazio per il rumore nella staticità di quella dimensione atemporale. Sida sapeva che sarebbe bastata un’emozione piccola, un soffio, un brivido, una lacrima, per accettare il destino, per ridare forza alla gravità, e lasciare tutto dietro di sé. Ma non ci riusciva. Prese il cellulare e compose il numero. Bussò tre volte. La luce invase la strada e avvolse tutto. Sida si ritrovò nella sua stanza. Un piccolo lume rischiarava la notte. Sul tavolo la foto di suo padre.