Davvero sorprendente questo The clinic, opera prima di uno James Rabbitts che a questo punto toccherà tenere sotto controllo per i prossimi lavori.
Siamo in Australia nel 1979, quando ancora l’esame del DNA non era stato introdotto (come annuncia la misteriosa frase iniziale).
Una giovane coppia è in viaggio nel deserto e decide di fermarsi un lurido motel a passare la notte (roba che se sei in un film horror e lei è incinta non si fa e dovresti saperlo!)
Nottetempo Beth scompare e la ritroviamo in una specie di clinica abbandonata e fatiscente con la pancia a perta e ricucita e senza più bambino dentro.
La ragazza scoprirà ben presto di non essere la sola in quelle condizioni in quel luogo e dovrà trovare il modo di uscirne viva e possibilmente col figlio al seguito.
Solo che in questa clinica (che sembra più una fabbrica abbandonata) sembra proprio non esserci nessuno.
Come dicevo il lavoro di Rabbitts è stato ottimo sia in regia che in sceneggiatura.
L’ambiente ricorda vagamente quello di Hostel, ma la situazione è diversa.
Le ragazze si trovano in un posto più che inquietante e non riescono a parlare con nessuno, non sanno perchè si trovano lì, intuiscono cosa è successo, ma non hanno idea di come venirne fuiori e di quali altri rischi corrono.
Alcune sequenze sono davvero tese. Il silenzio, il buio, l’ossessione dei luoghi sporchi e degli spazi enormi. Questo prato infinito ma in fin dei conti recintato.
E poi i cani, le pance aperte con cesari grossolanamente eseguiti.
Tutto contribuisce a creare tensione e a insinuare nello spettatore dubbi continui.
Cosa sta succedendo? Cosa stiamo vedendo? Si tratta di un misterioso esperimento? Di un gioco sadico? Solo di un drammatico traffico di bambini?
La costruzione dei dubbi fa temere di essere delusi dallo svelamento, invece il finale è ottimo con una tripla sorpresa che conclude abilmente un film che viaggia alto per tutta la durata.
Discreto (ma comunque inquietante) l’incubo di Beth.
Convincenti gli omicidi (si, ci sono anche una serie di omicidi) che ricordanoun po’ troppo quelli che si vedevano nei gialli italiani anni ’70 per non essere un chiaro omaggio al genere.
Brava e bella Tabrett Bethell, ma anche le sue compagne di sventura (Freya Stafford, Clare Bowen e Sophie Lowe) sono delle mammine che non passano inosservate.