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Presentato alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, il nuovo film di Robert Redford ha quel sapore di solidità di una volta. Redford è regista e protagonista di un thriller politico che ripesca nel passato per far riflettere il presente, per rendere consapevoli delle lotte e le proteste degli anni '60-'70 e delle loro conseguenze anche i giovani di oggi.Jim Grant era infatti militante del gruppo Weather Underground che, stanco dell'inefficacia dei sit-in non violenti, passò all'azione con una rapina in banca dal tragico risultato. Dopo l'uccisione di una guardia giurata, infatti, il gruppo si sciolse e i suoi componenti si diedero alla latitanza. Passati 30 anni, Jim è ora un rispettabile avvocato di provincia, padre vedovo di una bambina la cui vita procede tranquillamente. Tutto cambia la mattina in cui Sharon Solarz viene arrestata dall'FBI per l'omicidio della guardia e un giovane cronista, Ben Sheppard, pronto a tutto pur di far carriera e sfruttare il caso, inizia ad indagare personalmente, scoprendo la vera identità di Jim. Parte così una fuga per gli Stati Uniti, rocambolesca e fortunata, alla ricerca non tanto della salvezza ma della verità che passa inevitabilmente per il passato.Costruito come una caccia all'uomo nel quale si finisce inevitabilmente per tifare per l'attempato avvocato, The Company you keep (uscito in Italia con il fuorviante titolo La regola del silenzio) fa subito pensare ai film di una volta, integri e solidi, ben fatti e ben curati. Anche qui infatti, dalla fotografia (che non risparmia nessuna ruga ai protagonisti) al montaggio, tutto fila liscio. Lo stesso cast è di quelli ricchi: oltre a Redford, comprimario eccellente è Shia LaBeouf, e poi Anna Kendrick, Susan Sarandon, Julie Christie e Nick Nolte. Facce nuove si mescolano così alla perfezione con quelle conosciute, e a farne le spese è l'FBI stessa, beffeggiata e relegata nel ruolo del cattivo. Quello che manca è però un po' di mordente. Se gli ambienti e la sceneggiatura sono illuminanti e intricati quanto basta, lo stesso non si può dire dei dialoghi, poco serrati (tranne nel bellissimo confronto Ben Sheppard-Sharon Solarz) e poco accattivanti che hanno i loro picchi nelle frecciatine che Redford si concede alla nuova generazione. Il succo sembra infatti stare tutto qui: la fuga di Jim non è solo una personale ricerca di innocenza, ma coinvolge man mano tutte le persone che incontra e rincontra nel suo percorso, vecchi compagni o giovani reporter che siano, portandoli a riflettere sul labile confine tra verità e menzogna, tra giusto e sbagliato. Il finale, senza un climax esplosivo, porta a quella redenzione a lungo attesa, da tutti.
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