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The Congress – Ari Folman, 2014

Creato il 11 giugno 2014 da Paolo_ottomano @cinemastino

The-Congress-locandinaPoteva essere un’interessante riflessione sul futuro del cinema e della figura dell’attore: la competizione con il suo sosia digitale, immortale, e la necessità di ricreare una sintesi del suo corpo e della sua personalità. E seppure in maniera un po’ didascalica, sembra che The Congress voglia assumersi questa responsabilità, raccontandoci che l’unica scelta che un attore può compiere per essere davvero immortale è suicidarsi nella vita reale, adbicando al proprio avatar. Ma Robin Wright, che interpreta se stessa, non vuole sottomettersi a questa dittatura. Il suo agente (Harvey Keitel) riesce a convincerla, ma il modo in cui lo fa sembra sconfessare la sua bravura come attrice, e non capiamo se volontariamente o per sbaglio: di fronte al suo blocco emotivo, e alla sua incapacità di recitare per registrare le sue espressioni facciali, lui le racconta alcuni aneddoti strappalacrime. È davvero questo l’unico modo per far ridere o piangere un’attrice, che la storia vorrebbe presentare come capace e sulla soglia di perdere tutto, per colpa dell’avanzare della tecnologia?

Da questo momento in avanti, la coerenza del film vacilla e la storia divaga, perdendosi negli incubi della protagonista e in un mondo di cartoni animati; smarrendo il suo obiettivo ultimo perché niente di quello che cerca pare cercarlo con abbastanza convinzione. I momenti più gradevoli sono le parentesi colorate e visionarie prive di dialoghi, spesso (di nuovo) didascalici, macchiati però dal ricordo di altri episodi più belli che citano o cui fanno indirettamente riferimento: L’uomo che sapeva troppo (Alfred Hitchcock, 1956) o Al di là dei sogni (Vincent Ward, 1998). Molta confusione, che si ripercuote anche sulla scelta del titolo – è vero che c’è un congresso nel mezzo della vicenda, ma qualcosa di più evocativo o allusivo avrebbe abbracciato con più sicurezza l’impianto narrativo e “filosofico” del film. Dov’è l’autore di Valzer con Bashir?

Ecco l’articolo su Cinema4stelle.

Paolo Ottomano


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