Quando Frederick Aiken (James McAvoy), giovane avvocato di belle speranze deve decidere sull’opportunità di difendere Mary Surat (Robin Wright), la donna accusata di aver organizzato l’assassinio del presidente Abramo Lincoln, si trova di fronte ad un bivio: accettare l’incarico, e così facendo affermare ancora una volta il diritto di qualunque cittadino ad avere un processo equo, nonostante l’emotività del momento, oppure rinunciare, e cedere il passo alla volontà di coloro che ritenevano il verdetto già scontato ed il procedimento una pura formalità. The Cospirator ci parla appunto di quella scelta e delle conseguenze che essa comportò nella vita del protagonista, costretto a lottare contro il pregiudizio di chi lo considerò un traditore della patria per aver accettato quella difesa, ma anche del pericolo insito in una democrazia che perde di vista i suoi principi fondanti: “quando c’è la guerra la legge tace” afferma uno dei personaggi del film al fine di giustificare le “leggi speciali” messe in atto dal governo per forzare la giuria a cambiare un verdetto non gradito, e successivamente di annullare la decisione di ripetere un processo evidentemente iniquo. Ed ancora delle responsabilità, che furono quelle della gente comune, qui rappresentata dal drappello di amici che ruotano attorno all’avvocato, e che il film utilizza per restituire gli umori di un opinione pubblica più attenta alle convenienze personali che all’evidenza dei fatti, e della classe dirigente, spaventata dalle conseguenze di quel vuoto di potere e per questo desiderosa di esibire una vendetta inesorabile. Il mondo dell’epoca alle prese con un evento epocale, che però ricorda quello di oggi, così vicino per gli scenari altrettanto apocalittici aperti dall’attentato dell’11 settembre e per le reazioni unilaterali messe in atto da chi il mondo lo deve governare.
Dopo “Leoni per Agnelli” Redford riprende un'altra pagina di storia americana costruendo un film che assomiglia ad un analoga lezione, e nel farlo, cerca di mantenersi in equilibrio tra ragione e sentimento: da una parte l’obiettività di chi rileggendo la storia non vuole commettere l’errore di manipolarla, dall’altra la passione dell’uomo da sempre impegnato nelle cause civili. Ed è proprio la presenza di queste due anime il difetto più evidente del film perché, se dà una parte assistiamo alla costruzione di una serie di caratteri che sembrano più preoccupati di corrispondere alla fedeltà storica che alla vita, con il conseguente irrigidimento verso formule stereotipate, dall’altra è evidente una certa enfatizzazione soprattutto nelle figure del giovane avvocato, idealista a tutti i costi e quasi sempre colto in una tensione emotiva da cilicio francescano, ma soprattutto nella figura di Mary Surat, sguardo emaciato e colorito pallido, perennemente ritratta come una specie di Santa Maria Goretti, inginocchiata nella cella con un fascio di luce esterna ad illuminarne il volto. Concorrono in questa colpa anche una musica magniloquente ed una fotografia eccessivamente leziosa. In questo scenario la ricostruzione dei fatti, sciorinata secondo le regole del film processuale risulta poco importante e secondaria rispetto al messaggio che il regista vuole far passare. Ne risulta un opera dignitosa ma poco appassionante, che in qualche modo rischia di essere controproducente al tentativo di veicolare le idee in essa contenuta.
Interpretato da un cast all star anche nei ruoli secondari, tra cui ci piace ricordare un redivivo Kevin Kline nella parte del segretario della guerra Stanton e di Tom Wilkinson in quelli del suo avversario politico,The cospirator è l’opera di un uomo di cinema che non ha più nulla da dimostrare e che può permettersi di dire quello che pensa. Nel farlo dovrebbe rispolverare un talento registico attualmente un po’ annacquato