Lo scorso giovedì, durante i consigli sulle nuove uscite, ero stata la prima a dire di correre a vedere questo film. I motivi erano molteplici, e tutti sembravano confermare il mio imperativo... ma come sempre, non c'è mai certezza, e anche quando ci sono di mezzo nomi da far tremare un amante del cinema, la delusione è dietro l'angolo!
Procediamo con ordine:
- il cast è di quelli seri, e sulle loro doti nulla si può dire, con un Fassbender sempre più affascinante (anche perchè -come si dice nel prologo- ci sa fare), un Brad Pitt e un Javier Bardem imbruttiti non poco ma sempre superbi, una Penelope Cruz che incanta e una strepitosa e incontenibile Cameron Diaz, che torna ai livelli alti delle sue interpretazioni dando corpo a una villain con i contropacchi.
- la sceneggiatura è la prima originale di Cormac McCarthy, romanziere americano che sa di lande rocciose e solidità, e che infatti consegna uno script granitico e mascolino.
Ma, e qui arriva il primo ma, se da una parte alla stereotipicità di alcuni personaggi si può soprassedere, dall'altra non si può proprio perdonare una trama che non spiega o non mostra le motivazioni che spingono l'avvocato protagonista a mettersi in affari con il cartello messicano, né le basi e i vari intrecci che collegano i coinvolti nel raggiro, tra mediatori e donne pericolose.
In più, -e scusa Cormac se ci vado giù dura- le continue frasi ad effetto, le riflessioni filosofiche a cui più o meno tutti si lasciano andare possono funzionare in un romanzo dove ci si appassiona e ci si sorprende, in un film, invece, fanno sprofondare il tutto in una verbosità eccessiva, in un'esaltazione della parola che perde così il suo significato, o almeno l'attenzione dello spettatore.
- infine, la regia di Ridley Scott non è certo delle migliori, perdendosi in un montaggio fin troppo confusionario, in una freddezza degli ambienti che rappresenta la freddezza dei personaggi con i quali non si riesce ad interagire.
Usciti dalla sala si cerca così di rimettere ordine al tutto, di cercare di trovare quelle motivazioni che sembrano mancare ai protagonisti, di giustificare il più possibile la visione visti gli sprazzi di insana follia presenti che finiscono per rappresentare il film (la spaccata sul parabrezza della Diaz, o il meccanismo strozzante, o ancora la lezione impartitaci sulla purezza dei diamanti...), insomma, di trovare il lato positivo, anche il più piccolo, a The Counselor.
Questo perchè l'idea di aver preso una cantonata è difficile da affrontare, e perchè la solidità di quanto visto si continua a percepire. Ma, a conti fatti, salvati gli attori e alcune perle di sceneggiatura, gran poco si salva, e a farsi strada non è più tanto il senso di distacco o di ribrezzo, quanto di vera e propria delusione verso un film che sulla carta faceva invece fremere.
P.S.. cari titolisti italiani, se il film si intitola The Counselor e voi già lo sottotitolate Il Procuratore, perchè poi continuare a chiamare il protagonista Avvocato?
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