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The danish girl - Recensione

Creato il 18 febbraio 2016 da Lightman

Venezia 72

Il risveglio di Lili, prima transessuale della storia, attraverso gli occhi di Eddie Redmayne e con l'aiuto dell'amore di Alicia Vikander: un tema spinoso raccontato con garbo ed intelligenza, ma dalla realizzazione un po' troppo patinata.

The danish girl - Recensione The danish girl - Recensione

Serena Catalano Figura mitologica metà umana e metà pellicola, ha sfidato e battuto record mondiali di film visti, anche se il successo non l'ha minimamente rallentata. Divora cortometraggi, mediometraggi, lungometraggi, film sperimentali, documentari, cartoni animati: è arrivata addirittura fino alla fine della proiezione di E La Chiamano Estate. Sogni nel cassetto? Una chiacchierata con Marion Cotillard ed un posto nei Tenenbaum.

Lili Elbe ( Eddie Redmayne) è un'anima nata nel corpo sbagliato in un tempo sbagliato. Nel 1926 per le anime come la sua, intrappolate in un corpo diverso per genere da quello in cui ci si identifica, non è facile sbocciare, né tantomeno scoprirsi. L'unica soluzione è accettare, convivere, spesso nascondere quella che in realtà è solo la sua natura, il modo in cui Dio ha voluto crearla.
Lili Elbe nasce con il corpo di un uomo a cui viene dato il nome di Einar Wegner, che nei primi anni di vita quasi sembra voler dimenticarla , inscatolarla in una vita normale fatta di lavoro, matrimonio con Gerda ( Alicia Vikander), il tentativo di avere figli. Ma Lili, The danish girl è lì e non è mai sparita, è anzi la sua vera natura: non può rimanere nascosta a lungo. Serve coraggio per portarla di nuovo alla luce e farla uscire timidamente dalla sua scatola, ma soprattutto serve tanto amore - e di amore Lili abbonda, grazie a Gerda. E così un gioco iniziato innocentemente, quasi per divertimento, finisce per essere un vero e proprio viaggio verso la scoperta della propria identità e l'accettazione del vero io, non importa quanto lontano dal proprio punto di partenza: tutta la sofferenza verrà dimenticata nel momento in cui, per la prima volta, Lili si libera della parte maschile e si sente davvero se stessa.

Non una questione di trasformismo, ma una questione di identità

The danish girl - Recensione
The danish girl - Recensione

Nell'avere a che fare con persone che si identificano con un genere diverso da quello in cui sono nati si capisce immediatamente che non è una questione di modo di vestire, né tantomeno un discorso di sessualità. Identificarsi donne essendo nate nel corpo di uomini (e viceversa) è un processo che inizia fin da bambini, esattamente come Lili, e che dura tutta una vita. È il modo in cui si è nati, e non ha niente a che vedere con le preferenze sessuali: Tom Hooper questo l'ha capito, ed il più grande pregio di The danish girl sta proprio nell'essere riuscito a dipingere la transizione di Lili con delicatezza e profondo rispetto, lasciando da parte ogni tipo di superficiale giudizio a favore di un racconto che dipinge l'essere umano in tutte le sue debolezze ma soprattutto nelle sue forze, nella capacità straordinaria di riuscire a combattere per se stessi. Gesti, modi di fare, frasi e comportamenti diventano così piccoli pezzi di un puzzle che pian piano si rivela sotto gli occhi della protagonista, grazie anche ad un'ottima interpretazione di Eddie Redmayne, superiore perfino a quella che l'anno scorso gli ha regalato un Oscar - sebbene sia difficile sperare in una doppietta. A rubare la scena a Redmayne è però Alicia Vikander, che tiene delicatamente tra le mani un personaggio straordinario (la moglie di Einar, Gerda) vero fulcro della pellicola e soprattutto motore della trasformazione del protagonista grazie ad un incondizionato, potente ed illuminante amore che supera i confini di genere, si trasforma e si evolve senza mai perdere di intensità. Un'interpretazione sorprendente da parte dell'attrice, che commuove nella sua purezza in ogni inquadratura.

Oltre la storia, dietro un'intenzione forse troppo lineare

The danish girl - Recensione

L'intelligenza di Tom Hooper nel trattare l'argomento si avvolge all'interno di una fotografia pittorica, che dipinge Copenhagen e Parigi come delle cartoline ed avvolge gli interni delle abitazioni con la stessa delicatezza con cui accarezza i corpi dei protagonisti. Le uniche vere delusioni arrivano dalla regia di Hooper che, dopo Il discorso del re e Les Miserables, decide di confezionare un film forse troppo classico e lineare, enfatizzando questa scelta nel finale caricato in maniera eccessiva soprattutto sull'ultima sequenza. Nonostante il tema sia notevole e la sceneggiatura ne premi il garbo con cui è trattato, la realizzazione appare a tratti patinata, soprattutto nella seconda parte, arrivando a far perdere qualche punto ad una pellicola intelligente, che mira a dare una dimensione umana ad un argomento profondamente attuale la cui comprensione, soprattutto nel nostro paese, è ancora purtroppo lontana.

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