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Un caso più unico che raro, una band di serie B non supportata da media e discografici si costruisce un culto attraverso quattro album mai entrati nelle classifiche importanti e nemmeno nelle liste dei critici e dei giornali di moda. I Del Fuegos sono la dimostrazione che il rock n'roll è una pratica democratica, un affare aperto a chiunque, basta avere un pò di fortuna e arrivare dove altri ben più titolati e raccomandati non arriveranno mai ovvero al cuore degli ascoltatori. Con soli quattro album ed una decina di anni di attività i Del Fuegos sono diventati un oggetto di culto e di cuore per migliaia di persone al di là e al di qua dell'Oceano Atlantico grazie ad un rock senza additivi, onesto, sincero, realistico che ha sfruttato al momento opportuno il romanticismo delle ballate di Springsteen ed il rock al serramanico di una generazione di teppisti con la chitarra che negli anni ottanta hanno invaso le strade d'America. L'eco springsteeniano quindi, ma anche i riff e le voci volgari degli Stones, i ritornelli dei Creedence, il R&B della J.Geils Band uniti al gesto aspro e crudo di band come i Dream Syndicate, i Green On Red, i Del Lords, Eric Ambel, Charlie Pickett & The Eggs. C'è tutta una filosofia della strada e del neon sotto le canzoni dei Del Fuegos, un essere santo in città che travalica il solo gesto musicale per diventare resistenza esistenziale, potercela fare coi propri mezzi e con le cose che piacciono in un mondo che va in senso inverso, che non vede l'ora di fotterti perchè non sopporta che tu col tuo fottuto rock n'roll del garage possa gioire, vivere, comunicare,diventare famoso. Per qualche anno i Del Fuegos hanno scardinato il sistema, album come The Longest Day, Boston, Mass. e Smoking In The Fields sono stati una rivoluzione, hanno portato i bassifondi ai piani alti della piramide rock, hanno reso esplicita la sacrosanta affermazione di quel santone di Keith Richards "non esiste un modo corretto di suonare, esiste solo una sensibilità".
Logico quindi che gli orfani della band dei fratelli Zanes non aspettassero l'ora di risentire di nuovo la band in azione visto che in questi ventanni di mancanza non c'era mai stata una dichiarazione ufficiale di scioglimento e i Del Fuegos continuavano a stare in stand by nel cuore degli aficionados. Adesso che è arrivato questo Ep intitolato Silver Star si capisce che il tempo è passato più per loro che per noi perchè noi li abbiamo aspettati a lungo senza mai dimenticarli ma in sincerità speravamo che il ritorno fosse diverso, non dico roboante ma con una marcia in più sicuramente. Invece la band del Massachussetts si è adeguata alla nuova politica energetica e ha scelto di marciare ibrido e non a benzina. Silver Star non è un brutto disco ma è un disco che non ha energia, è troppo calmo, educato, rilassato rispetto al passato, gli anni passano per tutti ma qui si sente troppo l'odore di pensione. Le ballate sono carine, oscillano tra un folk-rock semiacustico (Better Let Me, Through Your Eyes) che sa di cappuccino al Greenwich Village a calde melodie (Time Slips Away) scritte con la penna intinta nella nostalgia mentre quando viene fuori il rock metropolitano chitarristico (Friday Night) è una pallida copia di quello che ancora oggi fa Willie Nile. Vero è che What You Do con quella aggiunta di Hammond ricorda i tempi di Smoking In The Fields e The Midnight Train viaggia in treno verso Memphis mentre Don't Go Down In The Hole con il suo fare trasognato potrebbe essere la canzone da dedicare ad una donna che vi vuole lasciare e la lenta e sonnolenta Raw Honey il miele da mettere nel tè al mattino per augurarsi un pò di dolcezza nel giorno che viene ma pur essendo solo un Ep Silver Star è troppo annacquato per accendere il fuego di un tempo. Se questo è il futuro meglio lasciar perdere e vivere di ricordi, se è solo un passaggio le ristampe possono aspettare.
MAURO ZAMBELLINI
Ascolta qui Friday Night
P.S.: diverso il giudizio espresso sul Blue Bottazzi BEAT
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