Una giovane madre e i suoi due figli (un bambino e una bambina) si svegliano tutte le notti terrorizzati da una indefinita quanto malefica presenza che sembra abitare la casa in cerca di una pace che non riesce a trovare. Tale presenza prende forme varie, ma quella nella quale sembra rinvenire un suo modo di essere particolarmente congeniale, è quella di un cadavere carbonizzato che tende le sue mani sofferenti ma anche mosse da una furia cieca, verso i tre abitanti della casa. Madison, la mamma dei due bambini, troverà in un giovane insegnante, Nikolai, un aiuto concreto per combattere contro lo spirito che li perseguita...
Diamo la stura alle recensioni 2016, dopo tanto, troppo silenzio del "critico" perturbantofilo che abita in me, divenuto improvvisamente silenzioso come un pesce abissale dei Sargassi, soprattutto per motivi di tempo e di impegni variegati che non sto qui a enumerare. Cominciamo quindi con questo "The Diabolical" di Alistair Legrand, 2015, che a mio avviso si merita una menzione sulle strade sterrate di questo mio territorio.
"The Diabolical" è un'opera perturbante che ha tecnicamente molti difetti, secondo me derivanti essenzialmente dall'inesperienza di un giovane regista che però ce la mette tutta e senza alcuna presunzione (oppure con la presunzione che si può decisamente scusare ad un giovane regista di genere). Il film può ad esempio risultare molto lento per i più, autocompiaciuto nel soffermarsi su inquadrature a piano medio che vorrebbero generare inquietudine ma alla fine non evocano emozioni di particolare rilievo (vedi la sequenza dell'asciugatrice della lavanderia, oggetto elettrodomestico che prende vita motu proprio). Altro esempio è rappresentato dal monstrum phantasmaticum, il quale, a parte le ottime finiture effettistiche e di make up, non risulta particolarmente nuovo, nonostante il riferimento alle ustioni corporee, aspetto trattato con delicata evocatività, e che quindi va secondo me apprezzato."The Diabolical" gioca su un Perturbante completamente "atmosferico": E' come se il regista, paragonabile ad un pilota di mongolfiere, ci guidasse in un viaggio in pallone, facendoci attraversare l'aria rarefatta di nuvole che, di volta in volta, sono nembi molto fitti e oscuri, che a tratti diventano cirri sottili, e poi cumuli svaporanti nell'aria tersa, per poi ridiventare addensamenti meno rarefatti, più spessi ma comunque cangianti. Il tocco registico di Legrand, così come il suo modo particolare di interpretare il sovrannaturale evocato dal narrato perturbante, appaiono come estremamente delicati, vedasi la sequenza dei dadi da gioco che si alzano dal tavolo, e quella successiva in cui tutti gli oggetti inanimati, in particolare gli elettrodomestici, prendono vita trasformando il quotidiano in estraneo e malefico. Intendo dire che Legrand procede a piccoli passi, ma va dritto verso il cuore stesso del Perturbante come genere artististico-narrativo, cioè a quel "nucleo particolare" della psicologia relativa alla fruizione artistica, di cui ci ha parlato Freud nel suo celebre saggio (Freud, 1919, pag. 81). L'aspetto più interessante del film credo infatti consista nella sua capacità di ritornare alle origini del Perturbante, anche nella sua accezione psicoanalitica.
Parlando di psicoanalisi, e tornando alla sequenza in cui gli oggetti domestici prendono vita passando da un rassicurante "inanimato" ad un inquietante "animato", mi è tornato ad esempio alla mente uno scritto di Melanie Klein del lontano 1929, e cioè il saggio “Situazioni d'angoscia infantile espresse in un'opera musicale e nel racconto di un impeto creativo” (1929), nel quale la Klein ci parla di un'opera di Ravel, L'Enfant et les sortilèges, partendo da una recensione dell'opera di Eduard Jakob sul “Berliner Tageblatt”. L'opera vede sulla scena un bambino, che, costretto dalla mamma a fare i compiti, si arrabbia furiosamente e mette a soqquadro la stanza. Ecco la descrizione da parte della Klein dei comportamenti del bambino, sulla falsariga dell'articolo di Eduard Jakob “...va a tempestare di pugni la porta, spazza via dal tavolo la tazza e la teiera mandandole in frantumi. Si arrampica su un sedile posto nel vano della finestra, apre la gabbia dello scoiattolo, cerca di colpirlo con la punta della penna(…) Poi urlando brandisce le molle del camino, le agita, sconvolge furiosamente le braci nel focolare, fa rotolare a calci il bollitore per tutta la stanza, che così è invasa da una nuvola di cenere e di vapore.” La furia cieca del bambino dell'opera di Murice Ravel, si arresta solo nel momento in cui gli oggetti "maltrattati" prendono vita e si vendicano col piccolo, ad esempio impedendogli di sedersi, di muoversi e, infine, spaventandolo a morte. Naturalmente la Klein in questo scritto non pone particolarmente l'accento su quel "nucleo particolare" che è il Perturbante secondo la definizione di Freud, poichè la Klein era interessata a portare avanti la sua interpretazione teorica dell'aggressività infantile, tenendosi ben lontana quindi (almeno negli anni in cui scriveva questo articolo) da una riflessione estetica sul Perturbante. "The Diabolical" sembra appunto una sorta di riedizione postmoderna dell'opera L'Enfant et les sortilèges di Ravel, mette cioè in dialettica Infanzia ed elemento angosciante/perturbante. Ecco dunque perchè alcune sue sequenze mi hanno evocato lo scritto della Klein (che inconsapevolmente tocca molto da vicino questi temi a noi cari, senza tuttavia mai nominarli direttamente).
Un film che si muove con tale delicatezza estetico-narrativa nei territori odierni, così dominati dal business delle grandi, solite, noiose e avide case di produzione, merita quindi, di per sè una menzione particolare, a maggior ragione se proviene da oltreoceano e da un regista giovane e alle sue prime esperienze artistiche.
Dal punto di vista tecnico possiamo dire che tutta la storia è decisamente impreziosita da alcuni accorgimenti assai degni di nota, ad esempio da un uso imprevedibile del ralenty (come nella sequenza della fuga su per le scale, con il fantasma che appare di punto in bianco dietro i quattro protagonisti), nonché da un uso accorto e pastellato della fotografia (di John Frost) e, come già detto, del make-up. Il montaggio (di Blair Miller) segue con adeguata lentezza la vicenda, concatenando le situazioni senza quella frenesia epilettica che caratterizza inutilmente e sgradevolmente molto cinema horror contemporaneo. La crew di Legrand se la prende cioè molto comoda, a mio avviso fin troppo - e questo è un difetto non da poco del film come dicevo più sopra, che però viene compensato da altri elementi-, rimanendo volutamente a lungo "sul pezzo" e dedicandosi con tutta la cura possibile alla creazione di un mood perturbante, straniante e teso all'apertura verso possibili significati ignoti, piuttosto che alla chiusura frettolosa di ricorsivi climax di genere.
Per finire, due parole sul cast, che vede una Ali Larter (Madison, la giovane mamma perseguitata insieme ai suoi figli dal fantasma carbonizzato) che non spreca la sua bellezza in inutili moine, bensì rimane salda nel suo ruolo di donna alle prese con difficoltà esistenziali di non poco conto. Anche i bambini (Chloe Perrin-Haley, e Thomas Kuc-Danny) e l'amico scienziato di Madison, Nikolai (Arjun Gupta) sono molto bravi, soprattutto nel non dare voce a cliché interpretativi risaputi.
In sintesi "The Diabolical", pur con le sue lentezze e con alcune asperità di sceneggiatura (in particolare quelle che presentano una ricostruzione piuttosto contorta delle origini dello spirito infestante), è un film che riattiva l'elemento sovrannaturale all'interno della cinematografia perturbante in modo originale, ispirato, ed è un film complessivamente ben condotto sotto ogni profilo. Film dunque da vedere, proprio come buon auspicio per il nuovo anno cinematografico horror appena nato.
Regia: Alistair Legrand Soggetto e Sceneggiatura: Luke Harvis, Alistair Legrand Fotografia: John Frost Montaggio: Blair Miller Musiche: Ian Hultquist Cast: Ali Larter, Chole Perrin, Thomas Kuc, Arjun Gupta Nazione: USA Produzione: Campfire Durata: 86 min.