Oggi pomeriggio, in una sala che come affollamento presentava più analogie con un film porno infrasettimanale degli anni settanta che con un qualcosa uscito da un paio di giorni, ho assistito alla proiezione del film The End of the Tour.
Sei spettatori in tutto: una coppia, una donna sola e tre uomini sparsi qua e là.
Dall’alto dell’ultima fila si notavano una testa grigia, una brizzolata, una nera, una mora e una bionda. Al macchinista oltre a quelle se ne presentava anche una quasi calva.
Ah già, c’era anche un zoppicante.
Nessuno meno che quarantenne, uno probabilmente over sessanta.
Niente sorprese, il pubblico presente rispecchiava le aspettative, perlomeno le mie.
Anche il film lo ha fatto.
Per raccontare la storia di un uomo non serve un film, a meno che quell’uomo non abbia compiuto imprese talmente particolari che per raccontarle si debba passare per forza dalla sua biografia.
Non è il caso di David Foster Wallace.
Per conoscere la sua vita basta andare su wikipedia e poi infilarsi in quella serie di connessioni presenti alla voce Collegamenti Esterni fino a perdersi in un gioco infinito.
The End of the Tour invece è perfetto per capire se non chi era David Foster Wallace, almeno come era.
Il racconto di cinque giorni di vita condivisa, seppur durante il tour promozionale di Infinite Jest e dunque in un contesto diverso dalla sua routine quotidiana, è perfetto per fornire uno spaccato preciso dell’uomo più che del personaggio.
Ma non è sufficiente il film, occorre avere un bagaglio di letture precedenti per cogliere la pesantezza di alcune frasi e l’importanza di certe scene; senza di esso tutto rischia di scivolare via in maniera troppo leggera.
Invece, ad esempio, il David che parla della notorietà scesa su di lui e dice che come scrittori (e quindi anche come persone) sia impossibile vincere, rappresenta uno dei momenti chiave per capire la sua personalità.
L’analisi della situazione che sta vivendo in quel preciso momento è chiarissima; siccome normalmente finchè si è dei perfetti sconosciuti si tende a ritenere che tutto ciò che ottiene un successo commerciale importante sia in realtà spazzatura, e siccome ciascuno ritiene che i propri scritti siano invece di assoluta qualità, come è possibile mettere insieme le due cose senza farsi del male quando il successo commerciale capita a te?
Bisogna fare finta di nulla e dimenticare le convinzioni passate?
Oppure si deve rivedere l’opinione sulla propria produzione?
E in ogni caso come è possibile restare onesti con se stessi?
In un’altra scena si vede David inchiodato davanti alla televisione a guardare serie tv in totale dipendenza quando gli altri ormai stanno tutti dormendo.
Oppure le puntate al supermercato con l’acquisto e il consumo continuo di cioccolate e bibite gassate.
In alcuni momenti c’è determinazione, in altre scene totale apertura di sé.
In un’intervista televisiva, non riportata nel film, ma importante per entrare nella giusta ottica della personalità dello scrittore, Wallace risponde che è felice di aver ottenuto una borsa di studio univeritaria e che ciò gli consentirà di prendersi un anno sabbatico e di dedicarsi alla scrittura a tempo pieno.
Conoscendosi, però, dice anche che probabilmente in quell’anno sabbatico le sue giornate saranno suddivise tra un’ora di scrittura vera e propria e otto ore di frustrazione e sensi di colpa per il fatto di non riuscire a scrivere di più.
Occore perciò una certa preparazione per apprezzare il film fino in fondo e farlo proprio.
L’attore Jason Segel, che ha interpretato Wallace, ha affermato che non è stato facile entrare nel personaggio, ma alla fine dice essersi riconosciuto nelle parole dello scrittore e di aver compreso che per tanti c’è un momento nella vita che arriva quando si superano i trent’anni e ci si accorge che le cose che la società in cui si vive ti aveva fatto mettere in cima alla lista dei valori non ti hanno reso felice. In quel momento la ricerca di un qualcosa si trasforma in una mancanza di possibilità e si rischia il naufragio.
Qualcosa va detto anche riguardo alla critica.
In diversi giornali e siti specializzati viene riportato come molte delle persone vicine a David Foster Wallace abbiano avuto un atteggiamento critico nei confronti della rappresentazione dell’uomo che è stata data nel film.
Spesso accade che più critici che dicono la stessa cosa non abbiano in realtà più fonti, ma ciascuno riporta ciò che è stato detto da qualcun altro, magari citando le stesse interviste o dichiarazioni di seconda mano senza approfondire troppo.
In questo specifico caso ritengo di avere notizie di primissima mano che porterebbero a smentire almeno in parte ciò che viene riportato.
Probabilmente buona parte di questa critica si basa sull’opinione dei genitori che effettivamente mi risulta si siano sempre tenuti distanti dalle vicende pubbliche del figlio specie dopo la sua scomparsa, ma sul pensiero degli amici non credo le cose stiano esattamente allo stesso modo.
Cito al proposito il ricordo della giornalista Marta Ciccolari Micaldi (laMcMusa) che nel maggio 2015, viaggiando in auto assieme ad alcuni amici di Wallace dopo la visione in anteprima a Bloomington-Normal, dove lui ha vissuto e insegnato dal 1993 al 2002, lì sentì parlare di alcune scene usando il nome David invece di quello dell’attore:
Aw, l’ho chiamato David, volevo dire Jason. È che sai, lui era proprio così. Segel è stato talmente bravo che per noi a un certo punto sullo schermo c’era David. Lui era lì, eccetto per il fatto che non era lui ma Jason.
Per affrofondire questo aspetto e leggere la recensione di Marta consiglio di cliccare qui.
In conclusione è difficile dire se questo film sia bello o brutto e se valga la pena di andare a vederlo o meno.
Per me è stato come quando ci si ritrova tra pochi intimi e si ricordano gli episodi vissuti con un amico che oggi non c’è più.