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- Scritto da Francesca Sozzi
- Categoria: Recensioni film in sala
- Pubblicato: 10 Febbraio 2016
Il film The End of the Tour - Un viaggio con David Foster Wallace è di James Ponsoldt e si basa sul romanzo di David Lipsky del 2010 Come diventare se stessi (meglio il titolo in inglese: Although of Course You May End Up Becoming Yourself). La storia ha inizio quando, nel 2008, viene data la notizia ufficiale della morte dello scrittore David Foster Wallace, probabilmente per suicidio. David Lipsky (interpretato dall'ottimo Jesse Eisenberg, visto anche in The Social Network), torna indietro con la memoria a 12 anni prima, quando la rivista Rolling Stone l'aveva mandato ad intervistare il celebre scrittore.
Per tutto il film seguiamo l'intervista Lipsky-Wallace, anche durante gli spostamenti per promuovere il libro dell'autore dell'anno. Nasce una simpatia tra i due, uno scambio e un interesse reciproco dovuto al fatto che l'intervistato non accetta un ruolo passivo ma indaga sulla vita del reporter con pari curiosità. Nella dialettica sorgono le personalità di entrambi:
1) Wallace sembra chiuso a riccio, vive con i suoi cani, ha paura di ferire il prossimo e forse, soprattutto, di essere ferito. Ha sempre temuto il sogno americano, coi suoi imperativi di successo, di goal da raggiungere nella vita. Sostiene che la peggiore dipendenza sia la televisione, non l'alcool (che usava come anestetico per gli stessi dilemmi ai tempi del college) e nemmeno l'eroina (che i media non vedono l'ora di appioppargli per confermare il cliché dello scrittore dannato).
2) Lipsky, invece, si sente "il fratellino minore": vorrebbe essere superiore, ma tutto sommato invidia il successo dell'amico, anche se ne è affascinato.
Amico? A me sembra una storia di amicizia. Proprio le chiacchiere che si fanno quando veramente una persona interessa, non mero interesse professionale..
I due vanno in giro, fumano ossessivamente, mangiano mashmallow e hamburger con patatine fritte, e parlano, parlano, raccontandosi l'un l'altro in una cornice tipicamente americana (gli spazi infiniti - i Mac Donald's - i grandi "Mall-center"). A un certo punto, il dialogo però si incrina: la gelosia reciproca porta alla diffidenza e di nuovo, alle proprie solitudini. Dopo uno scontro abbastanza acceso, si ritrovano a passeggiare sulla neve coi cani, al sole, riappacificati. Al momento di salutarsi, Lipsky dirà a Wallace che quella era stata la migliore conversazione della sua vita e che la sua compagnia l'aveva fatto sentire meno solo.
Di questo tratta il film, di un ottima conversazione tra due spiriti affini, e del problema della solitudine. L'empatia e l'amicizia tra i due diventa tangibile quando Wallace racconta che ama andare a ballare nella vicina chiesa battista e Lipsky gli chiede il perché. La risposta è disarmante: Wallace, sorridendo sotto la sua bandana-coperta di Linus dice: "Perché i Battisti sanno ballare!"
Tutto lì, semplice. Lo spettatore non può non rimanere incantato e forse un po' immalinconito, come di fronte a una tela di Edward Hopper.
Voto: 3/4