Di solito, rifuggo dai remake, lo sapete. E tuttavia in questo film c’è uno dei miei attori preferiti, Forest Whitaker. Il guaio è che c’è anche uno degli attori che detesto di più, Adrien Brody.
La cosa spettacolare è che entrambi figurano sulla locandina dando a The Experiment, fin dal primo impatto, una percezione duale, di netto contrasto. Non è cosa buona, se si pensa che parte già con le gambe spezzate, questa storia, visto che, come molti ho visto l’originale del 2001 e che, come credo a molti, m’è piaciuto.
E così, parto a caccia dei difetti, pur non volendo fare paragoni. E cerco di apprezzare ciò che Forest mi dà in termini di recitazione, cosa quest’ultima che ormai offrono in pochi.
E come sempre, in lui trovo ciò che cerco.
Nei primi minuti, quando si sta per decidere chi farà parte dell’esperimento e con fastidio si apprende uno spaccato inconsistente della vita di Travis (Adrien Brody), pacifista con le mani pronte a chiudersi per picchiare, il personaggio di Whitaker, Barris, sfugge a questa classificazione. Se non fosse che, anche per lui e per pochi altri, arriva il flashback, e lo scopriamo un bamboccione che ancora vive a casa con la mamma. In pratica come metà della popolazione adulta italiana. Per esigenza pratica e per indole.
In pratica, The Experiment, il remake, si sta per rivelare un atroce ritratto involontario della penisola, quando, al contrario, torna sui suoi passi, per assumere gli stretti confini di una prigione messa su ad arte per inscenare un ancora non ben chiarito esperimento basato su Guardie e Ladri, il gioco più antico del mondo dopo il Nascondino.
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[contiene anticipazioni]
Immagini evocative e alquanto scontate scorrono coi titoli di testa. Mostrano animali protagonisti di scontri feroci tra simili, per la competizione e la supremazia.
Ai partecipanti all’esperimento, durante selezioni farlocche (nelle quali basta dichiarare di non avere il diabete perché si venga creduti e scelti; idem per eventuali precedenti penali), vengono mostrate scene di violenza tra esseri umani.
In pratica il senso del discorso diviene ovvio. L’organizzatore vuole testare i partecipanti per quattordici giorni, dando loro 1000 dollari al giorno, e spingerli a reagire a situazioni estreme, attribuendo a ciascuno di essi, a seconda dell’indole che hanno dimostrato di avere, se dominante o passiva, il ruolo di guardia o carcerato, ma distribuendo entrambi i tipi negli opposti schieramenti, in modo da generare inevitabili contrasti che sorgono ben prima di due settimane.
L’unica remora che impedisce ai partecipanti di saltarsi alla gola vicendevolmente è la promessa della ricompensa in denaro e il fatto che una luce rossa si accenderà quando la regola fondamentale, di non ricorrere mai alla violenza, sarà violata, di fatto privando i soggetti dell’esperimento del tornaconto economico.
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Whitaker e Brody, guardia e ladro. Il film si gioca su loro due e su pochi altri. Girato al coperto, nei set, si assiste alla progressiva disgregazione delle fandonie definite società civile e alla rapida escalation della violenza, che inizia con metodi coercitivi piuttosto innocui, tipo le flessioni e finisce con l’umiliazione e la violenza fisica.
Forest è spettacolare, anche nel gestire un personaggio stereotipato a livelli epici. Il suo Barris, adulto mai cresciuto vittima di un conflittuale e morboso legame con la propria madre è quello che si definisce cliché cinematografico. Eppure, il grande attore arriva, fa sua la maschera e regala momenti di grande effetto, pur restando vittima di una sceneggiatura mediocre.
E uno di ricorda che vuol dire avere a che fare con un attore coi coglioni, che recita, sempre e comunque, anche quando, come in questo caso, si tratta di portare a casa la pagnotta e nient’altro, talmente scarne sono le possibilità che questo film potesse e possa avere mai altre ambizioni.
Esercizio di cinema di livello standard, quindi, dove, però, e qui forse me ne pentirò a vita, neanche Brody fa schifo.
È bene chiarire che non eccelle, ma, tutto sommato, se si cancella l’insulso romance che lo vede protagonista, nei minuti iniziali, a fianco della lostiana Maggie Grace, che nulla toglie e aggiunge alla storia, potrei anche dire che se la cava, forse catturato dal clima teatrale messo in piedi, facilmente, dal suo collega.
Come a dire, a guardare uno che recita sempre e comunque, qualcosa la si riesce a fare.
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Risultato finale, un film sufficiente, per un remake, con alcuni spunti piacevoli e un finale un po’ goffo, abbruttito dalla prosecuzione del suddetto romance.
Poco credibili le motivazioni alla base dell’esperimento e soprattutto la sua prosecuzione. La mancanza di autorità dimostrata dai suoi organizzatori lascia il campo libero, di fatto, al fallimento dello stesso. E a un ancor più ridicolo processo in cui, più o meno tutti sono colpevoli di qualche reato ai danni di qualcun altro, ma che vede Brody essere comunque libero di raggiungere l’India per un viaggio di ricerca spirituale.
Insomma, privo di tratti new age e più cattivo, forse forse sarebbe stato all’altezza dell’originale.
Così, l’unico rimpianto è Forest Whitaker. Il fatto di non vederlo recitare più spesso. Davvero un peccato.