La storia di questo film, ammesso che si possa riassumere, è quella di un ragazzo eterosesssuale q.b., Louis Ives (Paul Dano), che perde il suo lavoro a scuola e va a lavorare a Manhattan in una rivista ecologista, trovando alloggio in una stanza ammobiliata presso l'eccentrico Henry Harrison (Kevin Kline, appunto), venendo a contatto con una realtà davvero inusuale per lui: quella degli accompagnatori (come aggiungeremmo noi, "per distinte signore"). E, mettiamola così, la convivenza riserva molte più sorprese di quelle che ci si attenderebbe da un coinquilino così insolito.
Il sottotitolo originale del film parla di una sexless new comedy, una nuova commedia senza sesso. E, lungi dall'essere uno specchietto per le allodole di qualche serioso benpensante, val la pena sottolineare che difficilmente ho visto un film più casto di questo Un perfetto gentiluomo (anche fermo restando che la castità di un film non è per me un valore aggiunto, ma neanche un demerito). Il punto è che mai ho visto un simile sistematico attentato, non all'amore, ma all'idea stessa del desiderio affettivo o anche solo dell'impulso sessuale (comunque sia orientato).
Lasciamo pure perdere una descrizione cursoria e semplicistica del mondo della critica e della produzione letteraria, sia pure a un livello quasi hobbystico e salottiero (al confronto, l'Emma Thompson il Dustin Hoffman di Vero come la finzione davano un quadro molto più positivo e ottimistico). Quel che mi disturba è proprio l'assoluta incapacità di manifestare sentimenti e bisogni affettivi, risolvendo una congerie di idee magari interessanti in un accatastarsi di episodi scene senza sviluppo e senza esito, provocando qua e là perplessità narrative, quando non proprio noia (in tutti e tre gli spettatori della proiezione di oggi pomeriggio).
Anche per chi, come me, non ha affatto una predilezione esclusiva per la cosiddetta normalità, Un perfetto gentiluomo mi sembra che rappresenti un colpo mortale all'idea stessa di affettività. Il bisogno di un contatto fisico e umano viene congelato, gravato in una serie di schemi che tentano di scomporlo in altre e diverse manie ossessivo-compulsive, che vanno dal collezionismo bizzarro (e in sé interessante) di palle di Natale, al ricrearsi di salotti e situazioni démodé per una viziatissima, quanto vuota, aristocrazia del denaro in eccesso.
Un perfetto gentiluomo non è una commedia, nel senso che non mi ha fatto ridere neanche un attimo e che non mi pare aderisca in modo credibile alla realtà cui vuole riferirsi. Non riesco davvero a comprendere cosa sia (e sarei felicissimo di ricevere, in risposta, una recensione di segno diametralmente opposto che mi aiutasse a capire). Tempo e spazio vengono smontati, sostituiti da tempi e spazi del sogno o convenzioni d'antan (si pensi al Rosenkavalier), con esiti tecnici (certi spunti della fotografia) interessantissimi, ma insufficienti a supportare o anche solo a giustificare l'evento di un nuovo Kevin Kline al cinema.