Magazine
Ah, beh, e che sarà mai?
Ci siamo tutti impelluccati nei cassettoni degli armadi a furia di inseguire il romanzo della nostra vita.
Ebbene sì, scrivere è un atto puramente biologico, altrimenti detto fisiologico, altroché, e poi magari ci si potrebbe esimere dal farfugliare con il purè della retorica in bocca sui libri che non appartengono più ai loro scrittori, e bla bla bla, dati in pasto ai leonifici quando trattasi di lettori famelici, e bla bla bla, perché allora forse quegli scrittori non sono stati in sé e per sé onestamente se stessi.
È il mercato, bellezza, e chi scrive fuori rangeè brutto come la fame e non affascinante come the fame[1]
Scrivere è un po’ come vivere di solo cuore, quando ci si spiattella interamente e pedissequamente sulle pagine e sui giorni, che di sé non rimane che l’idea reazionaria e negletta di somigliare alla nostra creatura.
E così, creatori ci si crea di nuovo, ci si ri-crea, ci si rinvigorisce in uno stato puro di copia fedelmente riprodotta. Ecco perché si proclama compiaciuti la vendita di centomila e passa copie, di milioni di copie, di copie e copie, copie su copie. Epperò forse non c’è prodotto che ricalchi l’origine - che ben inteso non è l'originale, ma una primordiale e sincera ispirazione - neanche fosse la penna a comprovarlo.
Allora, se scrivere è così miracolosamente un riproporsi, perché non recuperare la vita del nostro romanzo, anziché il romanzo della nostra vita?
[1]la celebrità.