The Fighter

Creato il 12 marzo 2011 da Terrasiniblog @TerrasiniBlog

Certe volte se vuoi vincere devi essere quello che non sei

Tenendo in considerazione il fatto che la sua filmografia includa l’acclamatissimo “The wrestler” (2008), storia di un lottatore decaduto in cerca di riscatto, non sorprende che figuri il regista Darren Aronofsky tra i produttori esecutivi del terzo lungometraggio che Mark Wahlberg (“Amabili resti”) interpreta sotto la direzione di David O. Russell, per il quale già fu nel cast del bellico “Three kings” (1999) e della commedia “Le strane coincidenze della vita” (2004). Partendo da una storia vera, infatti, Wahlberg veste i panni di Micky, il quale inizia la carriera di pugile un po’ sulle orme del fratello Dicky Eklund, che in passato combatté perfino contro Sugar Ray Leonard, ma che ora è caduto in disgrazia. Ed è un eccellente Christian Bale (“Batman begins”) a concedere anima e corpo a quest’ultimo, mentre la madre Alice alias Melissa Leo (“Frozen river – Fiume di ghiaccio”) gestisce l’attività di Micky, la cui fidanzata Charlene, con le fattezze di Amy Adams (“Come d’incanto”), lo spinge a dividersi dalla famiglia per perseguire i suoi interessi e allenarsi senza l’inquieto fratello. Perché, tra continue sconfitte e desiderio di vittoria, il lungometraggio di David O. Russell – che mostra durante i titoli di coda i veri Micky Ward e Dicky Enklund – non vuole essere soltanto un racconto su celluloide riguardante il difficile cammino verso il successo nell’ambito del duro universo sportivo, ma anche e soprattutto una storia di fratelli che parla dell’amore, della famiglia, dei rapporti e del superamento delle avversità. In fin dei conti, però, quella che scorre davanti ai nostri occhi è un’operazione piuttosto ordinaria dal punto di vista registico, la quale non fa altro che riallacciarsi alla tradizione di veri e propri classici della settima arte quali “Lassù qualcuno mi ama” (1956) di Robert Wise, “Rocky” (1976) di John G. Avildsen e “Toro scatenato” (1980) di Martin Scorsese. Quindi, se le quasi due ore di visione riescono comunque a funzionare senza deludere, lo dobbiamo in particolar modo all’ottima prova del cast e al tutt’altro che disprezzabile montaggio per mano di Pamela Martin (“La casa del sì”), il quale fornisce una buona dose di esaltazione alla bella sequenza del combattimento finale. Ma nulla più.


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