La prima prova di un neonato team formato da veterani dell'industria vede una giovane ragazza e un cane alle prese con la sopravvivenza, in un mondo nel quale un'alluvione ha ingrossato i fiumi e l'acqua ha allagato la maggior parte delle terre emerse.
Versione analizzata: Xbox One
Alessandro "Neon" Mazzega prende confidenza fin da tenera età con pad e tastiera e si appassiona rapidamente al mondo dei videogiochi, lavorando come giornalista sulle principali realtà online e occupandosi di sviluppo, attualmente in Forge Reply. Bassista fallito, ha ormai venduto lo strumento per passare dietro al microfono, sia per cantare che per condurre il podcast Gaming Effect. Cercatelo su Facebook, su Twitter e su Google Plus.
Due sono i generi che continuano a dominare le classifiche di Steam, quotatissimi soprattutto dopo l'avvento di Twitch. Da una parte i sandbox, con Rust e - più di recente - l'ottimo ARK; dall'altra i survival puri, dedicati ai giocatori solitari, che attendono un nuovo campione di incassi dopo Don't Starve. The Flame in the Flood sembrava avere tutte le carte in regola per essere un degno successore del titolo firmato Klei Entertainment: un team di veterani dell'industria (che hanno lavorato a Bioshock, Halo e vari episodi di Guitar Hero), una campagna Kickstarter che ha raggiunto senza sforzi i propri obiettivi, una direzione artistica molto personale, accompagnata da una colonna sonora originale, cucita su misura e interpretata da un musicista molto noto negli Stati Uniti. Ottime premesse, però, non sempre portano ad un risultato eccellente.
Fine della civiltà
The Flame in the Flood non racconta in dettaglio cosa è sia accaduto nel mondo di gioco, ma mette l'utente davanti alla catastrofe già avvenuta: qualcosa nel ciclo delle stagioni deve essersi rotto, la natura si è ribellata e una gigantesca alluvione ha cambiato per sempre la fisionomia del mondo che conosciamo. I corsi d'acqua si sono ingranditi al punto tale da inghiottire tutto, dalle campagne alle città, travolgendo qualunque cosa fosse presente lungo il loro impetuoso cammino. Pochi sono i sopravvissuti, che lottano strenuamente per arrivare al giorno successivo, contro tutte le avversità che la natura gli oppone. Tra questi c'è anche la protagonista senza nome che andremo ad impersonare, tenace e pronta a tutto, che in compagnia di un cane discende un fiume titanico. Il rapporto con il nostro animale è un elemento interessante, sia a livello emotivo (in quanto ci si sente davvero sperduti nel desolato mondo di The Flame in the Flood, ed ogni tipo di conforto è ben accetto), sia perché offre alcune meccaniche di gameplay interessanti: come farebbe un amico a quattro zampe reale, il nostro peloso compagno ringhia quando c'è una minaccia nei paraggi e abbaia se c'è un oggetto utile nell'area, aiutando quindi nella costante ricerca di materiali. Il gigantesco corso d'acqua è l'altro protagonista dell'avventura, quasi ancestrale nella sua imponenza: il fiume, che normalmente è sinonimo di vita, ha ormai inghiottito tutto, ed è trasformato tanto nel colpevole della situazione terribile in cui ci troviamo, quanto nell'unica via di fuga possibile da quell'inferno.
Lungo il fiume
Inizialmente The Flame in the Flood sembra quasi voler proporre una trama, inscenando proprio l'incontro con il cane che ci accompagnerà per il resto dell'avventura. In verità, superata questa prima formalità, il racconto rimane sottotraccia. E' un peccato, perché lo stile visivo, l'ambientazione ed il contesto avrebbero potuto fornire ottimi spunti per raccontare una storia di lotta per la sopravvivenza e redenzione. L'unico obiettivo, invece, è quello di sopravvivere più a lungo possibile, discendendo il fiume a bordo di una zattera e fermandosi di tanto in tanto nei vari punti di approdo, attardandosi ad esplorare i lembi di terrà risparmiati dalla corrente, alla ricerca di materie prime utili. L'avventura comincia in maniera zona tutto sommato tranquilla, in un'area dove il maggior pericolo è in realtà un semplice fastidio: giganteschi corvi neri non perdono occasione per gracchiare, attirando potenzialmente l'attenzione di creature ben più pericolose.
Scacciando i lugubri volatili si può iniziare a raccogliere i primi materiali, utili per costruire oggetti che migliorare le proprie chance di sopravvivenza. Il cardine del gameplay di The Flame in the Flood è proprio il crafting, che scandisce il ritmo dela progressione. La struttura è davvero molto classica: il gioco di incastri ci permette di unire alcuni oggetti per crearne di più efficaci, anche se il processo prevede di procedere un po' alla cieca. Almeno inizialmente, infatti, non sappiamo quali oggetti è possibile costruire e quali ci potranno essere utili in futuro, quindi si tende ad accumulare tutto ciò che si trova (spazio nell'inventario permettendo), cercando di capire cosa sia più utile per la sopravvivenza. Ad esempio è consigliabile costruire una corda, in quanto può avere tantissimi usi diversi, uno dei quali è nella preparazione di una trappola per conigli. Considerando però che non tutti i luoghi che si esplorano offrono una fauna di quel tipo (a causa della struttura procedurale del gioco), ci si può magari orientare verso qualcosa di diverso, valutando attentamente le caratteristiche dell'ambiente, la propria condizione e le opportunità che la specifica partita mette a disposizione. In The Flame in the Flood è difficile sopravvivere, in quanto bisogna costantemente tenere sott'occhio fame, sete, salute e stanchezza della protagonista. Molti sono gli elementi che possono condurci ad una fine ingloriosa: il passare del tempo, ovviamente, fa aumentare la necessità di cibo e di liquidi per idratarsi, mentre i predatori, tra cui i temibili lupi, sono la minaccia più diretta. Un assalto può ridurci in fin di vita in pochi istanti, oppure lasciarci con una gamba rotta, con tutte le conseguenze del caso, tra cui una mobilità ridotta, e delle lacerazioni che -se non curate a dovere- fanno sprofondare la protagonista in una cupa disperazione. Anche la natura stessa mette a dura prova: un acquazzone inzuppa i vestiti, facendo aumentare la fatica e provocando un malessere profondo. Si può ovviare cercando un fuoco oppure accendendone uno in una zona al coperto, ma anche rendendo i propri vestiti maggiormente impermeabili grazie a pelli o altri materiali recuperati strada facendo. Non riuscire nell'impresa e morire di stenti significa ovviamente concludere la propria avventura, anche se il team ha fatto una scelta intermedia tra l'ormai sdoganato permadeath e un classico sistema di salvataggio (tanto che The Flame in the Flood si auto definisce rogue- lite): dopo un determinato numero di approdi il gioco crea infatti un checkpoint, ed è possibile tornare al salvataggio più recente se ci si rende conto che il nostro destino è segnato. Inoltre è possibile affidare al cane alcuni oggetti, che ritroveremo nel suo inventario in caso di una prematura dipartita. Come si diceva all'inizio, oltre alle fasi a piedi, troviamo anche quella bordo della zattera, necessarie per spostarsi da una zona all'altra dopo che avremo terminato l'esplorazione e la raccolta in un'area.
Anche in questo caso si sente la struttura procedurale: il fiume alterna settori in cui l'acqua scorre tranquilla e offre ampi spazi di manovra (per avvicinarsi a isolotti nei quali afferrare al volo oggetti che la marea ha portato per chissà quanti chilometri), a zone in cui il flusso si trasforma in rapide. Qui bisogna manovrare bene l'imbarcazione, cambiando traiettoria con lo stick analogico, ed esibendosi in forti virate che consumano in maniera molto rapida la resistenza della protagonista. Si tratta di misure estreme per evitare collisioni con oggetti vaganti quali alberi sradicati, rottami di auto o addirittura case, che la forza della natura ha trascinato nell'acqua. Ad ogni impatto la zattera può danneggiarsi, e bisognerà quindi cercare un approdo in cui portare il mezzo in secca e, materiali permettendo, rimetterlo in sesto o addirittura migliorarlo. Il gameplay di The Flame in the Flood oscilla insomma tra due sezioni ben distinte, entrambe delle quali difficili da dominare: bisogna agire nel modo giusto, valutando rischi ed opportunità dell'area in cui ci troviamo, ma anche fare piani a lungo termine, selezionando i materiali da tenere nel proprio inventario e gli oggetti da produrre. Nella speranza che la proceduralità del gioco non vanifichi i nostri sforzi nel giro di pochi minuti, portandoci in zone in cui la dotazione appena costruita risulta inservibile. La difficoltà, avrete capito, è calibrata verso l'alto e, benché a volte si presentino situazioni al limite, nelle quali ci si galvanizza perché improvvisamente si trova del cibo proprio quando si pensava di essere vicini ad una morte per inedia, nella maggior parte dei casi la frustrazione è dietro l'angolo. Ma il difetto più grande di The Flame in the Flood riguarda la varietà: dopo un numero abbastanza esiguo di partite ci accorgeremo di aver visto quasi tutte le tipologie di luoghi disponibili, capaci insomma di riconoscerne conformazione e caratteristiche.
Questo aspetto ridimensiona in maniera quasi dolorosa l'elemento esplorativo, e rende l'avanzamento molto più sterile e meccanico. Per fortuna l'aspetto artistico è riuscito e le scorribande sul fiume sono accompagnate da una delle colonne sonore più azzeccate degli ultimi tempi, prodotta da Chuck Ragan, cantautore noto in patria ma meno in Europa, se non per il suo ruolo di punta negli Hot Water Music. Le tracce si integrano perfettamente con l'ambientazione e il tono malinconico è sempre presente, al punto che i pezzi cantati amplificano il senso di smarrimento, facendo percepire tutta la fatica della protagonista.
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