a cura di Eleonora Vasques
“L’amore per la “forma canzone” ha sempre caratterizzato tutto il nostro bisogno di trasmissibilità: pensiamo che anche i concetti più difficili possano passare in menti che ne sembrerebbero immuni. E che non serve più parlarsi addosso e darsi ragione o millantare di essere artisti solo perché si gira a piedi nudi per sentire l’anima del mondo o il contatto con la terra (che terra non è, ma solo commerciale parquet).
Per questo tendiamo a sorridere di tutto ciò che è serio e cerchiamo di guardare oltre il profilo delle convenzioni, sghignazzare sulle classiche sonorità rock a favore della “sorpresa” cercando di proporre spesso una non consueta struttura di un brano apparentemente leggero”.
Presentatevi.
Zappis: voce
Falda: basso
Martella: batteria
Carlo: di solito chitarra, ma adesso la gamba (ha la gamba ingessata)
Musicalmente in che genere vi collocate?
Per prima cosa, per noi il genere è un concetto totalmente morto. Detto ciò, dove ci collochiamo? Ci collochiamo qui dove siamo, sul palco a suonare le nostre canzoni. Suoniamo rock italiano che non è quello ligabuesco, ma che presenta delle influenze pop. A pensarci bene, tutto ciò non significa nulla, perché siamo arrivati di nuovo al punto di partenza, ovvero che il genere, come abbiamo già detto, è un concetto che per noi non esiste più.
Attualmente diverse band, soprattutto nell’ambito della musica emergente, si considerano anticonformiste e alternative. Vi ritenete altrettanto? Se sì, cos’è l’anticonformismo e l’essere alternativi per i 3chevedonoilrE?
Intanto queste domande, per favore, valle a fare a Fabio Volo o a Carlo Buccirossi. Ecco, loro sono perfetti… Noi ci riteniamo molto anticonformisti nei confronti dell’anticonformismo, che in realtà corrisponde esattamente a ciò che prima era il conformismo. Quindi siamo anticonformisti nei confronti di questi anticonformisti. Per cui siamo conformisti, oppure “anti anticonformisti” o “contro contro conformisti”.
La teatralità e l’improvvisazione sono due vostri punti di forza. Ne Le Terme di Vals, brano che viene eseguito solo in pubblico e che non verrà mai registrato, tutto ciò emerge in maniera particolare. La canzone a ogni live si presenta con qualcosa di diverso rispetto al concerto precedente, sempre però mantenendo la base musicale e la storia principale. È impossibile non ridere durante tutta la canzone. Potete dirmi come nasce l’idea di una canzone così particolare, come si è sviluppata negli anni attraverso i vari concerti?
Il brano non è altro che una metafora della fuga dei capitali. Vals sta in Svizzera, proprio dove si trovano i paradisi fiscali. C’è una parte, nella canzone, dove si capisce che noi intendiamo travalicare il confine tra l’Italia e la Svizzera e Vals, infatti, è una sorta di paese dei balocchi.
Quindi è una cosa seria. Allora perché fa così ridere?
Questa è una delle canzoni più serie che abbiamo mai fatto, non scherziamo. Fa ridere perché è una metafora della realtà. E niente fa ridere più della realtà.
Nel 2010 esce Nella Baracca di Latta, album d’esordio autoprodotto. L’album contiene dodici canzoni inedite più una cover bipartita in corpo e coda de L’illogica Allegria di Giorgio Gaber e Sandro Luporini. Parliamo di alcune delle canzoni inedite.
“Ci sono facce sui muri e chi ha paura del gatto nero? Fra politica e paranoie la migliore eri tu” oppure “La curva inizia una festa di un minuto nemmeno perché l’arbitro era il gatto nero”. Questa è Chi Ha Paura Del Gatto Nero (http://www.youtube.com/watch?v=NXeDiBQRjuA). Mi contestualizzate il micio?
Anche questa è una metafora. È una metafora della violenza mediatica con cui le destre hanno invaso la politica italiana. Per questo gatto nero. Ci sono facce sui muri, che sono quelle della campagna elettorale, e chi ha paura del gatto nero? C’è chi non teme questa violenza e chi, allo stesso tempo, crede alle parole di queste facce quando si dipingono come unici garanti di un pezzo di pane e un lavoro. La canzone è stata scritta come per dire: “Non ti temo, non ti credo.” Ecco perché ti giudico come politicante paranoico: non mi convincerai mai, ci sono – e ci saranno sempre – persone migliori di te, non mi incanti. Tra politica e paranoie, alla fin fine, la migliore eri tu: ognuno ha un suo tu che è migliore della situazione di cui stiamo parlando.
“C’è chi ha perso un piccione, chi cambia colore, chi scambia uno specchio col sole.” Questa canzone si chiama Festival (http://www.youtube.com/watch?v=xOSdszRqDko). Mi spiegate questi versi?
Vogliamo fare della critica poetica? Per questo devi chiamare il Sapegno, noi non siamo in grado di farlo. Possiamo solamente dirti che la canzone è una metafora dell’invasione mediatica dei piccioni in Italia. E, se tu ci fai caso, la maggioranza dei piccioni sta sempre alla tua destra… e sempre sulla caldaia. Stanno lì appollaiati, fanno le uova lì e cagano lì! Ah, poi sono anche del colore dell’asfalto.
Dunque è questo il senso della canzone?
Se potessi te lo spiegherei, ma in realtà non esiste un senso e la canzone non ha un tema. Parla di una camminata psichedelica e di ciò che vede e immagina questa persona che la intraprende. Niente di più. È poesia, non c’è nulla da spiegare. È come se provassi a chiedere a Picasso perché ha messo l’occhio storto alla donna con le zinne viola.
Prossimi concerti e programmi futuri?
Allora: Wembley Stadium dopodomani, Hyde Park… E per quanto riguarda i programmi futuri, andare a vedere Piovono polpette 2 al Cinema dei Piccoli.
(Sabato 18 gennaio saremo all’Apartment a Roma, e sarà un concerto in acustico con altri due gruppi: Noa Band e Livia Ferri. Sarà un concerto per beneficenza. E, infine, sabato primo febbraio saremo ad Alatri (RM) alla Perla nera.)
Cosa dobbiamo aspettarci dai 3chedevonoilrE nei prossimi mesi?
Verso la prima metà di maggio uscirà un EP (EP vuol dire “El Piccione”) che comprende cinque canzoni, preceduto da un singolo con un video edito per La Grande Onda, che è la nostra etichetta discografica.
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