Atteso dalla critica, pubblicizzato da giornali e televisioni, ha fatto tappa a Rimini The Full Monty, il musical ispirato all’omonimo successo cinematografico del 1997. Squattrinati organizzati era il sottotitolo italiano della pellicola campione d’incassi e vincitrice di un Oscar, a cui preferiamo il più letterale “to go full monty” (“andare fino in fondo”), che rende perfettamente l’idea del contesto sociale in cui maturò. Ovvero, le prime grandi avvisaglie di una crisi economica ed occupazionale, su cui l’Inghilterra seppe, anche grazie al film diretto da Peter Cattaneo, ridere ed ironizzare. Sono passati sedici anni e la situazione non è affatto migliorata: da qui l’idea di Massimo Romeo Piparo, già autore e regista, tra gli altri, di musical quali Evita, Jesus Christ Superstar e di successi televisivi come Stasera pago io e Ballando con le Stelle, di personalizzare una storia buffa ma al contempo amara. Non più la Sheffield deindustrializzata e privata delle sue fabbriche, ma la Torino degli operai, dei cassintegrati, dei drammatici licenziamenti collettivi; non più Gaz, Dave, Nathan, Lomper, Gerald e Barrington Cavallo, ma Giorgio, Davide, Aldo, Marcello, Gabriele e Javier Caballo. E un cast a dir poco stellare, impreziosito da alcuni tra i volti più noti della fiction e della TV: Paolo Ruffini, Sergio Muniz, Pietro Sermonti, il ballerino Jacopo Sarno.
Una squadra, volutamente eterogenea, completata dalla presenza dei torinesi Marco Serafini e Simone Lagrasta, scritturati nell’ambito di un casting promosso dai sindacati e riservato ai lavoratori rimasti disoccupati negli ultimi due anni. Una presenza, quella dei due neo-attori, che ha attirato sullo spettacolo prodotto dalla Peep Arrow ed organizzato, in Romagna, da Alabama Eventi, l’interesse del grande pubblico, sin dalle prime tappe della tournée partita a gennaio dal Teatro Sistina di Roma. Rimini non è stata da meno: PalaFlaminio gremito, pubblico femminile (in netta prevalenza) in visibilio per i balletti e gli strip-tease di Muniz e soci; ma soprattutto due ore e quaranta minuti di risate convinte per uno show garbato ed ironico, che ha avuto il suo valore aggiunto, più che nelle performance dei bellocci “desnudi”, nell’esilarante interpretazione di Gianni Fantoni, con l’inconfondibile pancia, a tratti debordante, e la solita, irresistibile, mimica facciale. Ma anche di Paolo Calabresi, ex Iena trasformista: a lui il compito di impersonare il cinico Aldo, passato in breve da spietato manager della fabbrica a disperato spogliarellista.
Uno spettacolo ben fatto, egregiamente recitato, che ha costretto i suoi protagonisti ad inediti sforzi musicali, dal momento che tutti i brani sono stati eseguiti dal vivo; una commedia “proletaria” che non ha disdegnato azzeccate incursioni nel panorama sociale e politico: dalle canzonette sull’idolo calcistico Andrea Pirlo all’onnipresente tormentone sullo spread. Come è d’obbligo segnalare la grandiosa interpretazione del tonto “Marcello” Paolo Ruffini, vero mattatore dell’evento e gli improbabili richiami al celentaniano Yuppi du del già ricordato Marco Serafini; in un cast, accozzaglia di stili e caratteri, rivelatosi la vera forza del musical, che si ricorda anche per le brillanti coreografie di Bill Goodson e le efficaci scene di Teresa Caruso. Una squadra, quella dei disoccupati squattrinati, disposta davvero, come gli operai di Sheffield, ad andare “fino in fondo” per combattere la crisi: ne è prova l’annunciato spogliarello integrale dei protagonisti, al grido del capopopolo Pietro Sermonti («Signori, si vive una volta sola!»). In un finale che ha regalato alla platea, oltre alle nudità dei protagonisti, coperti solo da uno studiato gioco di luci ed ombre, anche un prezioso spunto di riflessione: il richiamo all’Art. 1 della nostra Costituzione. A simboleggiare che il lavoro è sacro e che il fondo, probabilmente, si è davvero toccato.