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The Green Inferno

Creato il 24 settembre 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
The Green Infernoplay video
  • Anno: 2013
  • Durata: 103'
  • Distribuzione: Koch Media
  • Genere: Horror
  • Nazionalita: USA
  • Regia: Eli Roth
  • Data di uscita: 24-September-2015

Sinossi: Un gruppo di studenti vola nell’Amazzonia peruviana a sostegno di una causa ambientalista. Durante il viaggio di ritorno, il loro aereo precipita nella giungla. Vengono catturati da una tribù di indigeni che paleseranno sin da subito la loro dieta a base di carne umana.

Recensione: The Green Inferno si avvaleva, in fase promozionale, di diversi accostamenti a Cannibal Holocaust (di Ruggero Deodato, 1980), all’horror all’italiana, al genere cannibalistico, al mockumentary horror, a Bombolo, Edwige Fenech, Jimmy il Fenomeno, e a un altro paio di etichette che al momento sfuggono. Eli Roth è un gran bravo ragazzo, ha talento, è innegabile, e ha anche qualche merito. Ha rivitalizzato, svecchiato, fatto evolvere un genere che negli ultimi anni stava annegando in maniera indecorosa nelle sabbie mobili del ridicolo. Cabin fever, Hostel, sono pellicole interessanti che hanno dato una nuova chiave di lettura all’horror. Quell’horror che per tutti gli anni duemila stava diventando appannaggio di magri ragazzetti apparentemente, ingannevolmente, profondi ed estetizzanti, che un giorno tutti avremmo imparato a riconoscere come Emo. Ecco, Eli Roth, con la benedizione di Quentin Tarantino, Robert Rodriguez e qualche altro, ha strappato via dalle mani di questi giovani Werther con problemi nutrizionali la scatola dei bottoni, quella che consentiva loro di stabilire i criteri su cui cineasti, produttori – e l’industria cinematografica tutta – avrebbero fondato i loro blockbuster del terrore. Eli Roth ha stabilito che l’horror doveva continuare a trarre ispirazione da Tobe Hooper. Da Dario Argento. E sì, da tutto il cinema italiano dell’orrore, quello vero, quello a bassa fedeltà che ti disturbava le notti. Evolvendosi però in qualcosa di più moderno, con radici vintage, mai citazionista in maniera sterile. Restituire l’horror alla sua natura di intrattenimento, estremizzarlo e, quindi, elevarlo. Ecco il credo di Eli Roth.

The Green Inferno, invece, fallisce. Sembra che il regista si sia incaponito nel voler costruire una trama articolata (senza riuscirci), quasi a voler dimostrare al mondo intero che i suoi lavori non sono fatti solo per scioccare e divertire impaurendo. Il film va diviso in tre parti: una prima, in cui fra dialoghi dozzinali e situazioni imbarazzanti (gli attivisti che suonano e cantano donano più di un brivido di vergogna) vengono presentati i vari personaggi e la causa ambientalista che li spinge a volare nell’Amazzonia peruviana. Una seconda – buona, quasi una tregua – decisamente nelle corde di Roth, fatta di sangue, cattiveria, malvagità, ma inframmezzata da trovate di cattivo gusto (non nel senso buono, ma nel senso di ridicolo). Una terza, il finale, in cui si ritorna con convinzione alla grossolanità ostentata quasi con orgoglio nella prima parte. Il film nasce da una buona idea, seppur non originalissima, ma per tutta la sua durata sembra spingersi in territori che non gli competono. C’è troppa alta definizione per un film che dovrebbe avvalersi di ben altro tipo di atmosfera. I personaggi (interpretati da attori senza lode e con qualche infamia) sono privi di sfumature. I cattivi sono troppo cattivi. Alejandro (Ariel Levy) è insopportabile, ai limiti della caricatura. Non è un film dannato, ecco cosa lo distingue dai suoi (illustri) predecessori. Il senso del ridicolo ti insegue per tutto il film, e alla fine ti raggiunge, persino nei titoli di coda. Degna di nota la scena dell’attacco di dissenteria di cui è vittima una delle ragazze catturate all’interno della gabbia. Contro ogni aspettativa, si tratta di una scena che si priva della prevedibile ironia che potrebbe scatenare, per ovvi motivi, strappando allo spettatore un po’ di complicità e immedesimazione. Il film è, dunque, un’occasione mancata, inaspettatamente mancata. Nonostante la bellezza disarmante della locandina, che aveva illuso oltremodo.

 Riccardo Cammalleri

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