The Grey
di Joe Carnahan
con Liam Neeson
Usa, 2012
durata 117
Il cinema come forma di terapia.
Non solo per chi lo guarda ma anche per chi lo fa.
Non
è un mistero che l'identificazione tra la realtà dello spettatore e la
finzione dello schermo possa favorire la presa di coscienza di un
determinato aspetto della nostra vita oppure cambiare uno stato
interiore attraverso i processi catartici che un film può stimolare.
Se
poi annulliamo la distanza tra il mondo ideale e quello vissuto come
avviene per gli attori che quella trasposizione le devono interpretare,
allora il transfert è totale, così come gli effetti da quello provocato.
Di conseguenza non sarà stato facile per Liam Neeson impersonare un uomo tormentato dal ricordo della moglie morta prematuramente. "Non avere paura" ripete la giovane donna rivolgendosi al compagno che la assiste durante gli ultimi giorni.
Una
frase che deve essere riecheggiata spesso nella mente dell'attore
mentre cercava di entrare dentro un personaggio che come lui era alle
prese con un lutto ancora fresco.
E' da lì che deve essere
partito per interpretare John Ottway cacciatore di lupi assoldato per
proteggere gli operai di una compagnia petrolifera dagli assalti dei
feroci animali. Un processo di assimilazione capace di ridisegnare il
volto dell'attore consegnandolo ad un espressivirtà colorata di
sofferenza vissuta sulla pelle.
Una trasformazione che Joe Carnahan
utilizza per accrescere il carisma di un uomo che si ritrova a capo di
un manipolo di uomini scampati ad un terribile incidente aereo. Persi in
un deserto di ghiaccio e minacciati da un branco di lupi, i superstiti
cercheranno di attaccarsi alla vita con la disperazione di chi non ha
più nulla da perdere.
Joe Carnahan, un regista di belle
speranze convertitosi a produzioni di routine aveva due possibilità:
enfatizzare i meccanismi della suspence e dell' azione per puntare ad un
intrattenimento spettacolare, basato sul continuo confronto tra il
cacciatore e la sua preda, oppure innestare in un racconto di avventura
dalle venature horror elementi di riflessione scaturiti dal contatto con
l'elemento naturale prima e con quello animale poi.
Ne sceglie
invece una terza in cui dapprima riduce i personaggi a una tipologia
caratteriale, funzionale ad alterare le dinamiche relazionali
all'interno del gruppo, e poi li consegna alla morte con una serie di
espedienti che diminuiscono una credibilità ricercata nella scelta di
location reali e particolarmente disagiate, per la stupidità dei
comportamenti messi in atto.
In questo modo il film si riempie
di sentimenti infarciti di nostalgie familiari e solitudine interiore,
di lunghe attese aspettando il prossimo attacco di un avversario che il
film centellina con apparizioni quasi sempre nascoste all’occhio dello
spettatore.
Una soluzione in economia che lascia spazio a lunghi
momenti di pausa, troppi per una trama che punta in maniera scontata
allo scontro finale, quello in cui il protagonista rimarrà da solo di
fronte al suo destino. Alla fine l’unica cosa che rimane è la maschera
di dolore di Neeson/Ottway .
Neanche un film così poco suggestivo riesce a farcela dimenticare.