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L'aereo su cui viaggia un gruppo di lavoratori di un un oleodotto, precipita in una zona sperduta dell'Alaska. I pochi sopravvissuti, tra cui il protagonista Ottway, si ritrovano ben presto a dover lottare non solo contro la rigidità del clima e un ambiente ostile, ma soprattutto contro un branco di lupi famelici. Ottway e i suoi compagni decidono di abbandonare il luogo dello schianto e di dirigersi verso i boschi, nel tentativo disperato di salvare le loro vite...
Ad una prima, superficialissima lettura, "The Grey" è un survival drama che ci racconta di un gruppo di superstiti di un incidente aereo alle prese con una natura ostile e con un destino che più cinico e baro non si può. Tale lettura si autodemistifica però immediatamente: dopo poche, essenziali sequenze Joe Carnahan ci conduce subito nei sotterranei di una profondità filosofica che, lo confesso, non mi sarei aspettato dal regista di "A-Team" (2010). Carnahan ci parla subito della morte, non appena imbracciata la cinepresa, e della sua costante, imprevedibile presenza all'interno della vita di ogni uomo, e lo fa mediante l'interpretazione intensissima di un Liam Neeson che non è mai stato un attore da me molto amato, con quella sua faccia da anziano cameriere di trattoria del Michigan. Qui invece Neeson si riscatta completamente, subisce una metamorfosi psicofisica incredibile. Già da una delle prime toccanti sequenze in cui tiene la mano di un compagno che sta per morire e lo guarda con infinita commozione, si capisce che il film ce ne farà vedere delle belle, anzi, ci farà pensare, ci obbligherà a pensare, soprattutto al tema della perdita. Ma non solo, scopriremo poi. Il film è molto lungo (117 minuti) ma non ti lascia mai un secondo, non ti permette di abbandonare questi rozzi e bizzosi operai statunitensi a se stessi. Carnahan ti chiede di seguirli, di stare con loro, e tu lo fai, semplicemente, perché la loro storia è metaforicamente, anche la tua. Non lo vuoi ammettere, ma è così. Carnahan ci parla dell'impietosa verità che l'esistenza ha un limite, e che per molti esseri umani essa è molto più dura di altri, più drammatica, più faticosa e ostile, sebbene cerchiamo spesso di non vedere e accettare tale verità. Il film ricorda molto lo stile di Malick, soprattutto negli eterei flashback in cui Ottway si rivede nel letto con la defunta moglie, cui scrive lettere perché non ha mai accettato questa terribile prova luttuosa. Ma Carnahan è un Malick decisamente meno metafisico, e che soprattutto non usa l'immagine come metafora o suggestione simbolica che rimanda ad un Altro-da-sè inattingibile. In "The Grey" il regista attinge invece ad un substrato filosofico che potremmo definire, se ce ne fosse bisogno, esistenzialista, là dove, sartrianamente "l'inferno è la Natura", al posto di "l'inferno sono gli altri". Una Natura leopardiana, darwiniana, insensata dal punto di vista dell'uomo, e che obbliga l'uomo stesso ad un costante, sempiterno lavoro di scarto e fuga verso ciò che si definisce come "umano" rispetto a ciò che si definisce come "animale". In tal senso la bellissima sequenza del bosco in cui vediamo il gruppo di superstiti ascoltare gli ululati lontani dei lupi che non vedono l'ora di poterli aggredire nel buio della notte, è un esempio di grandissima poesia cinematografica della quale dobbiamo ringraziare l'ispirazione di Carnahan. "The Grey" è un film sulla fragilità umana, su quella hilflosigkeit (impotenza) su cui Freud si è soffermato più volte, e che fonda la relazione, il legame affettivo tra gli individui, la loro etica. E' il gruppo, il legame, appunto, tra operai superstiti, l'unico strumento utile a sopravvivere alle intemperie e agli attacchi dei lupi. Legame anch'esso fragile, naturalmente, che si spezza facilmente per via della conflittualità, del Caso, della stessa Natura. Non è un fatto fortuito, credo, che il film sia tutto al maschile. Le uniche presenze femminili consolatorie sono la moglie morta di Ottway che compare però come miraggio fantasmatico, nonché la piccola figlia di uno dei protagonisti, che arriverà a "visitarlo" un attimo prima che muoia. In questo film, cioè, non c'è spazio per la speranza, non c'è spazio per l'illusione: nessuna evasione è possibile. Impotenza e caducità sono le uniche categorie kantiane possibili e passabili per un regista e sceneggiatore che, aiutato da una fotografia asciutta e scarna (dell'ottimo Takayanagi), ci racconta un'altrettanto scarna e beckettiana storia nella quale vivere è sinonimo di sopravvivere. Sopravvivere alla continua perdita che costituisce il tratto distintivo della vita. In questo senso Carnhan non ci dà tregua nel sottolineare tale aspetto (si veda ad esempio una delle ultime sequenze, quella del torrente, in cui Ottway si getta in acqua nel tentativo di salvare un compagno dall'annegamento), e questa insistenza è forse l'unico elemento criticabile del film, ma che non scalfisce, anzi accentua la solida coerenza della sua poetica. Molte possono essere, naturalmente le letture possibili di questa pellicola così densamente popolato di fantasmi mortiferi. Da un vertice di osservazione psicoanalitico, ad esempio, tutta la vicenda può essere anche vista come l'azione distruttiva di un Super-Io sadico proiettato sulla Natura Matrigna che "mangia" i suoi figli, invece di nutrirli e ricompensarli delle loro fatiche. "Proiezione" determinata probabilmente da aspetti profondamente depressivo-pessimistici che albergano nella sceneggiatura e in chi l'ha così ideata, ma che trovano almeno espressione e rappresentazione (figurabilità) nel corso di tutta la pellicola. Aldilà delle possibili letture, il film è un'opera tutta centrata sulla solitudine assoluta dell'uomo rispetto alle proprie responsabilità esistenziali, e sulla assoluta necessità di un lavoro costante circa queste responsabilità. "The Grey": film poetico, struggente, filosofico in senso malickiano. Da vedere assolutamente pur facendo attenzione ad avere i bioritmi a un buon livello mentre lo si guarda. Regia: Joe Carnahan Soggetto e Sceneggiatura: Joe Carnahan, Ian Jeffers Fotografia: Masanobu Takayanagi Montaggio: Roger Barton, Jason Hellmann Musiche: Marc Streitenfeld Cast: Liam Neeson, Dermot Mulroney, James Badge Dale, Dallas Roberts, Joe Anderson, Frank Grillo, Nonso Anozie, Ben Bray Nazione: USA Produzione: Open Road Films, Inferno Distribution, LD Entertainment Durata: 117 min.
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